Il Big Bang sul palmo della mano: l’esperimento ALICE all’acceleratore LHC del CERN

Un progetto così ambizioso richiede giocoforza un apparato sperimentale e di analisi dei dati raccolti altrettanto ambizioso, in grado di misurare con accuratezza a precisione estremamente raffinate quante più proprietà possibili dei frammenti del nostro orologio.
È qui che entra in gioco l’aspetto internazionale di ogni moderno esperimento. La costruzione e la gestione di strumenti della dimensione e della complessità necessarie per gli esperimenti moderni di fisica fondamentale non è assolutamente alla portata di un singolo ente di ricerca nazionale, ma richiede la collaborazione di decine di enti (e migliaia di persone) ognuno dei quali si assume la responsabilità di una parte di apparato per quanto riguarda la sua realizzazione, messa a punto e successiva gestione.

Il contributo dell’Italia ad ALICE è di rilevanza notevole e molti dei rivelatori che compongono l’apparato sono di costruzione quasi completamente italiana. Nello specifico, il gruppo di ricerca con cui lavoro, assieme ad un gruppo olandese, uno francese ed uno finlandese, si è occupato della realizzazione di uno dei rivelatori più vicini al punto di collisione dei fasci e per questo uno dei più importanti per il tracciamento delle traiettorie delle particelle uscenti.
L’oggetto che abbiamo costruito, noto con il nome di Rivelatore a Miscrostrip di Silicio (in inglese SSD), si presenta sotto forma di due cilindri messi uno dentro l’altro ed è composto da circa 1700 rettangolini di silicio opportunamente lavorati su scale del milionesimo di metro. A Trieste ne abbiamo prodotti circa 850 in collaborazione con un’azienda friulana che ci ha assistito nella lunga fase di montaggio e validazione di ognuno di loro.

Questa fase iniziale, a partire dalla realizzazione dei prototipi, la produzione in serie, il montaggio, l’assemblaggio finale e tutte le sessioni di test, condotte con il fine di verificare il buon funzionamento dell’apparato, ci ha impegnato per oltre 7 anni durante i quali ci siamo trovati ad affrontare e risolvere problemi non preventivati, ma cruciali ai fini del risultato finale.
Attualmente siamo impegnati nel verificare il comportamento del nostro rivelatore mentre opera assieme a tutti gli altri, con i quali è stato integrato e montato nella caverna sperimentale, in attesa che LHC sia pronto a fornirci i fasci di particelle.

“Bene, ma tutto questo che applicazioni ha?” ci si chiede. La risposta in questo caso è duplice. Da una parte, considerando le finalità puramente scientifiche dell’esperimento, possiamo dire che attualmente non si ha alcuna idea delle possibili ricadute applicative dei risultati che otterremo e che pertanto, al momento, ci consentono soltanto di ampliare il nostro orizzonte conoscitivo. Cambiando prospettiva però posso rispondere che le ricadute applicative ci sono già state e si manifestano in tutta la tecnologia sviluppata per la realizzazione dell’esperimento stesso: tecnologia dei materiali, elettronica, informatica, delle comunicazioni e nelle commissioni, affidate ad aziende dei vari paesi partecipanti, molte delle quali italiane, che hanno consentito lo sviluppo di competenze e conoscenze che poi rimangono e costituiscono, non solo il ritorno di quell’investimento in termini di risorse finanziarie ed umane messe in campo dai diversi paesi, ma anche un arricchimento del proprio patrimonio culturale e tecnologico.

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