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20 anni de L’Arca 93 con il convegno: “La persona con disabilità (…)”

Riceviamo e volentieri segnaliamo…

L’associazione di volontariato “L’ARCA 93” ONLUS, in occasione del ventennale dalla sua fondazione, è lieta di invitarvi sabato 8 giugno 2013 alle ore 17.00 presso l’Istituto Vescovile G. Marconi – Sala delle Colonne in Via Seminario, 34, Portogruaro (VE) al convegno:

arca93_20anni_poster_small“La persona con disabilità: quale rete di sostegno per la sua partecipazione”.

Programma:

– Presentazione e saluto delle autorità.

– Samuele Barbui – presidente dell’associazione di volontariato “L’Arca 93” onlus: “Arca 93: 20 anni di cammino insieme”.

– Vladimir Kosic – persona disabile da 49 anni: “L’importanza della rete di sostegno in risposta ai bisogni della persona con disabilità e per la sua partecipazione sociale”.

– Testimonianze di persone con disabilità, familiari e volontari dell’associazione, rappresentanti di altre associazioni attive nel territorio.

– Dibattito.

Modera – Elisabetta Lazzaro

Segreteria organizzativa – Martina Simon, per informazioni: 346 9721038

  Convegno de 'L'Arca 93' al collegio Marconi (430,5 KiB, 753 download)

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Conferenza “La Kinesiterapia”, venerdì 3 febbraio 2012

Rettifica urgente del 24/01/2012 di jetto:

Per motivi indipendenti dalla nostra volontà e legittima scelta del relatore, Vi informiamo che la serata sulla Kinesiterapia sarà organizzata e curata direttamente dall’Associazione “Un Parco Per Boldara” ed ospitata, contrariamente a quanto precedentemente indicato, dal Comune di Teglio Veneto (VE), presso il condominio “Avvenire”, in Via Chiesa.

Su richiesta del relatore allego la locandina aggiornata della serata, con tutte le indicazioni del caso.

Ci scusiamo per l’eventuale disagio occorso.


La kinesiterapia (di cui la fisioterapia è un ramo), è un’arte curativa praticata da molti decenni nel Nord Europa. In Italia, è applicata in maniera istituzionale solo di recente: gli studi specifici rispondono alle norme CEE da poco più di ieci anni. Ciò spiega in parte l’uso poco frequente di questo tipo di terapia e  il suo mancato uso in innumerevoli patologie, recuperi o preparazioni specifiche, dalla sindrome di Baré alla preparazione al parto con tecniche di psico-profilassi del dolore.

“Per tanto tempo, il massaggio ha rappresentato per la nostra professione l’unica scienza; ciò l’ha svalutata” disse Marcel Bienfait, 40anni fa. Purtroppo, ancora oggi, “terapia”  è sinonimo di massaggio, non solo per il grande pubblico ma anche per la medicina tradizionale.

Pertanto, vorrei rivalutare l’apporto reale di questa scienza, basata su  esami clinici concreti che permettono di curare in primis le cause dei disturbi ben prima dei sintomi. Vorrei che il paziente, più informato sul suo disturbo,  fosse reso più libero nella scelta di cura, tutto a beneficio di un risparmio di dolore, tempo, denaro e farmaci,  grazie ad una guarigione profonda in perfetta cooperazione con il medico curante.

Dunque, la serata sarà dedicata sia alla filosofia della kinesiterapia, spalleggiata dalla terapia manuale,  sia alle cure specifiche delle grandi patologie ortopediche che colpiscono la popolazione. Insisteremo sulla loro prevenzione e successivamente sulla cura stessa, applicata dopo l’individuazione delle anomalie bio-meccaniche, origine di sintomi  in generale messi a tacere farmacologicamente, spesso solo per un breve periodo. Chiedo cortesemente ai partecipanti a far sì che l’incontro non sia limitato ad un monologo saccente e noioso ma improntato dall’elemento fondamentale nella ricerca della salute del paziente: il dialogo.

Claude Andreini

Laureato in kinesiterapia (ISKE_Liegi)
Specializzato in Terapia Manuale (International College of Osteopathy-Bruxelles), drenaggio linfatico(VUB), lettura radiografica, elettroterapia e terapia sportiva- taping(ULB).
Insegnante di Biologia e di Educazione Fisica (ISEP Liegi).
Titoli A1, a norma CEE.

  'La Kinesiterapia', a cura di Claude Andreini (375,3 KiB, 5 download)
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Recenti sviluppi demografici ed economici nel Veneto Orientale

Nel primo decennio di questo millennio, il territorio del Veneto Orientale ha conosciuto una nuova fase di espansione significativa della popolazione. I Comuni che sono stati interessati dalla dinamica più intensa di crescita demografica sono Ceggia, Pramaggiore, Noventa di  Piave, Annone Veneto, San Donà di Piave. Hanno un tratto evidente che li accomuna: si tratta sempre di Comuni posti nella parte nord dell’area, al confine con le aree industrializzate del trevigiano e del pordenonese. Il litorale, con i Comuni di San Michele, Caorle, Eraclea e Iesolo, non ha evidenziato una dinamica differenziata o trainante. I luoghi del turismo non hanno espresso una capacità attrattiva, per gli insediamenti stabili, più accentuata rispetto alla media dell’area.

Tab. 1 – Popolazione residente a fine anno nei comuni del Veneto Orientale:
TOTALE RESIDENTI DI CUI STRANIERI
1981 1991 2001 2009 2001 2009
Annone Veneto 3.309 3.237 3.490 3.961 139 578
Caorle 11.485 11.129 11.342 12.016 350 972
Cinto Caomaggiore 3.129 3.130 3.168 3.299 55 255
Concordia Sagittaria 10.373 10.550 10.492 10.684 106 443
Fossalta di Portogruaro 5.649 5.691 5.843 6.051 45 309
Gruaro 2.762 2.698 2.690 2.823 36 148
Portogruaro 24.412 24.733 24.571 25.406 318 1.728
Pramaggiore 3.298 3.473 3.985 4.710 121 718
San Michele al Tagliamento 11.956 11.887 11.441 12.040 249 897
Santo Stino di Livenza 11.165 11.464 11.763 13.027 186 1.294
Teglio Veneto 2.040 1.962 1.979 2.297 13 121
Tot. Portogruarese 89.578 89.954 90.764 96.314 1.618 7.463
Ceggia 5.086 5.011 5.096 6.201 127 669
Eraclea 11.462 11.838 12.460 12.844 230 885
Fossalta di Piave 3.746 3.820 4.022 4.247 105 416
Jesolo 22.018 22.146 22.698 25.232 710 2.615
Meolo 5.115 5.262 6.054 6.476 125 655
Musile di Piave 9.494 9.732 10.249 11.504 188 1.308
Noventa di Piave 5.349 5.728 5.952 6.721 192 805
San Donà di Piave 32.009 33.406 35.417 41.247 741 4.349
Torre di Mosto 3.735 3.780 4.302 4.743 76 325
Tot. Sandonatese 98.014 100.723 106.250 119.215 2.494 12.027
Provincia di Venezia 838.199 819.607 809.586 858.915 13.888 69.976
Veneto 4.343.283 4.379.932 4.527.694 4.912.438 141.160 480.616
Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat-www.demo.istat.it

Negli ultimi 10 anni la popolazione del territorio è cresciuta di circa 5.000 abitanti nel Portogruarese e di circa 13.000 nel Sandonatese. E’ particolarmente interessante analizzare la quota di tale crescita attribuibile agli stranieri. Risulta evidente che molti Comuni, senza l’apporto degli stranieri, sarebbero diminuiti nel numero di abitanti. E in ogni caso la quota preponderante della crescita della popolazione è determinata dagli stranieri: uniche eccezioni sono Ceggia e Teglio Veneto, con una crescita della componente italiana superiore al 50% del totale.
Questo trend di incremento degli stranieri è del tutto analogo a quanto accaduto nel contesto regionale più ampio: la forte crescita demografica è stata ovunque determinata dalle immigrazioni dall’estero, non dalla ripresa della fecondità né da consistenti fenomeni di attrazione da altre aree regionali o nazionali. Anche la precedente fase di forte crescita demografica, quella degli anni ’30 attivata dall’antropizzazione delle aree bonificate, era stata guidata dalle immigrazioni ma in quel caso si trattava soprattutto di lavoratori vicentini o padovani.

Queste tendenze demografiche espansive si scontrano ora con l’impatto della  crisi economica attivata nel 2007, esplosa nel 2008 e tuttora in corso, con prospettive di superamento non certo a breve. La fase di crisi sta avendo anche l’effetto di “raffreddare”, almeno in parte, la dinamica di crescita della popolazione. I vantaggi localizzativi e le opportunità residenziali possono ancora essere attraenti ma si sono rarefatte le possibilità occupazionali.
Il nostro territorio, non avendo un grande tessuto produttivo industriale (anche se ha subito comunque alcune chiusure aziendali importanti: Zignago in primis) è stato raggiunto dall’onda delle difficoltà economiche a trovare sbocchi per le merci prodotte in maniera indiretta e ritardata. Ma comunque i segni delle difficoltà sono ben visibili: secondo i dati dell’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, nel 2009 e 2010 si sono registrate mediamente circa 3.000 assunzioni in meno rispetto al 2007. Infatti da oltre 24.000 si è scesi a circa 21.000. In particolare si sono ridotte le assunzioni nell’industria (da 3.400 a 1.500) e nelle costruzioni (da 1.500 a 900). Più in generale si sono ridotte le assunzioni “importanti” da parte delle imprese e delle istituzioni pubbliche, quelle a tempo indeterminato e quindi con le maggiori potenzialità di durata e di stabilizzazione: da circa 3.700 nel 2007 a 1.500 nel 2010.
Rimane certo ancora consistente (per fortuna) lo sbocco assicurato dal lavoro stagionale nel turismo: anche nel 2009 e nel 2010 le assunzioni a tempo determinato e con contratti di somministrazione sono state più di 16.000, concentrate soprattutto nei comparti dei servizi collegati all’ospitalità (ricezione, ristorazione etc.). Ma è evidente che ciò non è sufficiente a porre su basi solide le prospettive future del territorio.
Infatti non c’è dubbio che le “vocazioni” del Veneto Orientale restano “vocazioni difficili” da sviluppare, e tanto più lo sono in un contesto economico generale contrassegnato dall’incertezza su scala globale e dalle difficoltà di finanza pubblica su scala nazionale. La pressione esterna, la ricollocazione geopolitica – con gli impatti che ne discendono in termini di attraversamenti Est-Ovest – nonché le politiche in atto nel settore dei trasporti spingono ad un’assimilazione crescente della nostra area con  le forme insediative della “città diffusa” ad intensificata antropizzazione.

Può tutto questo essere declinato in modo virtuoso, con una differenziazione delle funzioni territoriali in grado di salvaguardare le specificità locali pur riconoscendone le potenzialità di sviluppo (in primis l’ambiente che ha regalato al Veneto Orientale l’opportunità di avere 2,5 ml. di turisti all’anno con 16 ml. di presenze, vale a dire qualcosa attorno al 30% delle presenze totali registrate in Veneto)? E’ la strada auspicabile ma non certamente la più facile né la più ovvia.

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Tab. 1 – Popolazione residente a fine anno nei comuni del Veneto Orientale:

TOTALE RESIDENTI

DI CUI STRANIERI

1981

1991

2001

2009

2001

2009

Annone Veneto

3.309

3.237

3.490

3.961

139

578

Caorle

11.485

11.129

11.342

12.016

350

972

Cinto Caomaggiore

3.129

3.130

3.168

3.299

55

255

Concordia Sagittaria

10.373

10.550

10.492

10.684

106

443

Fossalta di Portogruaro

5.649

5.691

5.843

6.051

45

309

Gruaro

2.762

2.698

2.690

2.823

36

148

Portogruaro

24.412

24.733

24.571

25.406

318

1.728

Pramaggiore

3.298

3.473

3.985

4.710

121

718

San Michele al Tagliamento

11.956

11.887

11.441

12.040

249

897

Santo Stino di Livenza

11.165

11.464

11.763

13.027

186

1.294

Teglio Veneto

2.040

1.962

1.979

2.297

13

121

Tot. Portogruarese

89.578

89.954

90.764

96.314

1.618

7.463

Ceggia

5.086

5.011

5.096

6.201

127

669

Eraclea

11.462

11.838

12.460

12.844

230

885

Fossalta di Piave

3.746

3.820

4.022

4.247

105

416

Jesolo

22.018

22.146

22.698

25.232

710

2.615

Meolo

5.115

5.262

6.054

6.476

125

655

Musile di Piave

9.494

9.732

10.249

11.504

188

1.308

Noventa di Piave

5.349

5.728

5.952

6.721

192

805

San Donà di Piave

32.009

33.406

35.417

41.247

741

4.349

Torre di Mosto

3.735

3.780

4.302

4.743

76

325

Tot. Sandonatese

98.014

100.723

106.250

119.215

2.494

12.027

Provincia di Venezia

838.199

819.607

809.586

858.915

13.888

69.976

Veneto

4.343.283

4.379.932

4.527.694

4.912.438

141.160

480.616

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat-www.demo.istat.it

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Presentazione del libro “Le malattie del desiderio” di Fabrizio Turoldo

Salve a tutti.

Venerdì 20 maggio 2011 alle ore 20.45 affrontiamo due temi difficili, quello della tossicodipendenza e dell’anoressia, presentando il libro “Le malattie del desiderio” del prof. Fabrizio Turoldo, ed incontrando l’autore.

L’incontro si terrà presso la Villa Ronzani di Giai di Gruaro e sarà possibile acquistare il volume ad una modica cifra.

Allego la locandina dell’evento ed invito come sempre tutti a segnalare la serata.

  Le malattie del desiderio, di Fabrizio Turoldo (655,1 KiB, 13 download)
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Autismo, sindrome misteriosa

Forse qualche volta ci siamo trovati di fronte a persone difficilmente classificabili.
La nostra logica spontaneamente ci porta a sistemare secondo certe categorie tutto ciò che vogliamo faccia parte del nostro patrimonio di conoscenze.
E quelle persone, bambini o adulti, avevano un comportamento piuttosto bizzarro!
Il più delle volte avevano anche lineamenti molto belli! “…che strano! Così belli…”.

In casi simili, se siamo proprio coraggiosi, proviamo ad iniziare un discorso, magari pentendoci subito dopo perché completamente ignorati, oppure perché ci sentiamo rivolgere una frase che non ha niente a che fare con ciò che abbiamo appena detto e quella frase viene ripetuta più e più volte, per noi del tutto senza senso.
Oppure  assistiamo a movimenti sterotipati, quasi dei tic, che a volte richiedono anche parecchia abilità. Mah! Rimaniamo sempre più sconcertati.

Ecco! Questa persona probabilmente è autistica, fatto questo che comporta un deficit nella relazione, nella comunicazione e nella immaginazione.
In passato la “colpa” di tutto questo veniva data alla madre “frigorifero”, cioè alla madre che non aveva saputo dare amore. Dal momento che la persona con autismo difetta nella relazione, l’origine della sindrome deve stare nella relazione più importante, cioè quella con la madre!
Questo ragionamento errato ha causato tantissimi deleteri sensi di colpa in quelle povere mamme che si rivolgevano a certi psichiatri.

Ancor oggi non si sa tutto sull’autismo; si parla di malattia poligenica, di ereditarietà, di interazione di geni particolari e ambiente, di alterazioni neurologiche e immunitarie. Le statistiche dicono che la frequenza della sindrome autistica nella popolazione mondiale è di 10-30 casi ogni 10000 persone.
Questo valore, rispetto a qualche anno fa, è andato aumentando con il perfezionarsi delle tecniche di indagine, con conseguenze significative. Altro dato interessante: i maschi sono colpiti 4 volte più delle femmine.

A parte tutto questo, quando in un bimbo di 12-18 mesi, dallo sviluppo apparentemente normale, insorgono sintomi particolari, i genitori, disorientati, si chiedono cosa stia succedendo e cosa fare. Questo è un momento difficilissimo per più di un motivo. Per esempio perché non sempre è facile trovare chi può dare indicazioni in tal senso.
Innanzi tutto è importante la diagnosi corretta. A questo deve seguire la valutazione delle capacità esistenti e delle capacità che stanno emergendo, per poter impostare un programma educativo individualizzato. Tale programma mira a non far perdere ma a potenziare le capacità già acquisite, a stimolare quelle “in nuce” e a tenerle sempre monitorate per un costante adeguamento del percorso educativo.
Per tutto questo è chiaro che ci vogliono delle specifiche competenze.
I genitori sono senz’altro le persone che più di tutti amano e  conoscono il loro figlio ma è difficile che abbiano anche quella competenza che serve in questi casi.

La Fondazione Bambini e Autismo ONLUS è un fiore all’occhiello del nostro territorio.
Questo centro è stato fondato 12 anni fa a Pordenone da due genitori che, con un bimbo autistico, non hanno trovato nel territorio risposte al loro problema.
In questi anni la Fondazione ha raggiunto notevole rilevanza in Italia e non solo.
A Pordenone c’è la sede del centro diagnostico e terapeutico e la sede dell’Officina dell’Arte (centro lavorativo per adulti).
A Cordenons c’è Villa Respiro, dove, durante la settimana, si effettuano sedute perché la persone con autismo imparino ad usare le abilità che possiedono per gestire la loro vita al meglio,mentre nei fine settimana gruppi a turno si fermano anche la notte per dare un po’ di “respiro” ai loro genitori. Ancora. Sempre a Pordenone sono da poco iniziati i lavori per un altro progetto ambizioso: la costruzione di un centro dove queste persone risiedano quando non saranno più accuditi dai loro genitori.
Naturalmente poiché l’autismo è molto invalidante ed è una sindrome che accompagna tutta la vita del soggetto che ne è interessato, tutte le attività svolte in questi centri sono preparate e seguite da terapeuti, psicologi o pedagogisti, con preparazione specifica.

Si potrebbe dire molto di più, sia dell’autismo che della Fondazione. Queste sono solo alcune notizie riguardo questo mondo di persone affascinanti, con un modo di essere che mette a volte  chi ne è a contatto nella condizione privilegiata di comprendere particolarissimi aspetti della vita.

per ulteriori informazioni:
http://www.bambinieautismo.org/

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La legge è uguale per tutti, compresi i preti

Il 25 giugno 2010 la polizia belga ha fatto irruzione nei locali dell’arcivescovado  di Malines, Belgio, bloccando i vescovi  presenti  e sequestrando  telefonini, documenti e agende.  Un’azione qualificata dai prelati vaticani di “peggiore di quelle  perpetrate dai comunisti”, di “triste momento” secondo il Papa, insinuando che i preti erano rimasti senza bere ne mangiare per nove ore.

La costituzione belga è molto chiara: secondo l’articolo 268 del Codice Penale, i ministri del Culto non possono attaccare qualunque atto dell’Autorità pubblica. Un articolo che, se dovesse esistere ed essere applicato in Italia, porterebbe nelle aule di Giustizia un giorno sì e un altro ancora i rappresentanti  vaticani che, da sempre non solo giudicano e criticano leggi e azioni del Governo della Repubblica, ma danno addirittura  indicazioni di voto durante la messa.

La stampa ha pertanto schernito l’intervento delle Autorità Giudiziarie belghe facendo finta di dimenticare l’emergere da anni del problema della pedofilia ad ogni livello ecclesiasti ma anche senza dare la specifica dell’argomento da trattare da parte dei vescovi durante quella riunione: i vescovi belgi si preparavano  a discutere il punto 5 dell’ordine del giorno approntato dal vescovo di Liegi Mgr. Alois Jousten, intitolato: “della necessità di trasmettere le cartelle dedicate ai preti pedofili alla Commissione Andriaenssens”.

Il giudice belga, al corrente della volontà ecclesiastica di non trasmettere  le cartelle relative a preti pedofili, e altrochè al corrente  che esistono, ha semplicemente  confermato non solo l’indipendenza reale della giustizia  nei confronti del potere politico in Belgio ma altrettanto la sua assoluta  volontà di considerare i rappresentanti del culto cattolico , di qualsiasi livello, come cittadini per niente al di sopra di ogni sospetto, in onore di un detto troppo spesso citato ma non applicato da queste parti ossia: la legge è uguale per tutti.

La libertà, fra cui quella di espressione è un bene molto prezioso che la stampa belga la difende aspramente. Aiuta il piccolo  Paese nordico  a posizionarsi al 3 posto nella graduatoria mondiale sulla libertà di espressione, quando l’Italia è confinata al 74esimo posto a mala pena prima della Corea del Nord. Pertanto, al di sopra di ogni divergenza politica o linguistica l’azione delle Istituzioni nazionali è stata sostenuta grazie ad articoli che davano il polso della reazione popolare.

Marc Metdepenningen, giornalista  francofono ma di certo di origini fiamminghe con un cognome del genere, non ha lesinato sulle parole: “il Vaticano trova verosimile la guarigione di una signora di 95 anni affetta da tumore, da parte di un suo zio, monaco libanese (ovviamente beatificato) ma giudica “inverosimili e gravi” le perquisizioni nella sede episcopale. Risponde a Bertone che qualifica l’intervento  “peggiore di quelli comunisti” chiedendo al prelato di prendere in considerazione le pratiche dei giudici dell’Inquisizione che arrostivano sui falò “streghe e altri Cathari”.  Continua meravigliandosi del disprezzo che ha lo stesso Bertone nei confronti del peccato di menzogna visto che disinforma pubblicamente quando afferma che i preti sono rimasti a digiuno (pure pratica religiosa) per tutta la durata del fermo. In effetti, la polizia ha facilmente provato che i prelati hanno ricevuto pollo, pomodori, eppure vino!

Insomma la stampa belga sorride: “La Chiesa, di nuovo, inciampa nel tappeto” e si fa seria quando scrive: “il papa, come la Chiesa belga se vogliono rimanere credibili e assumere le proprie responsabilità sui scandali pedofili interni hanno una sola scelta: aprire gli archivi, appurare ciò che fu “la legge del silenzio” richiesta da Malines e Roma e lasciare agli inquirenti parlamentari, giudiziari e storici l’onere di spiegare il passato e salvare il presente.

Una azione esemplare e la relativa reazione mediatica che, a parere mio, dovrebbero essere d’esempio in Italia. Un modello che, se applicato, darebbe la prova di una reale libertà di azione delle Istituzioni repubblicane nei confronti dello Stato vaticano e la prova che religione e Stato sono indipendenti. Insomma che se la religione di Stato è cattolica, la Chiesa cattolica non è lo Stato.

Invece, assistiamo  al solito balletto politico, dall’estrema Destra alla Sinistra integralista, delle prese di posizioni onte e succube, tradizionali nel dare un colpo  al ferro e uno alla botte. Un balletto che vede girare, a md’ di offerta, i deretani dei danzatori a caccia di voti  e le facce nauseate di chi ci osserva da oltre confine.

Claude Andreini. Belga

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Relazioni asimmetriche: lo stalking nella società

Nell’antica Grecia Ovidio raccontava che Dafne, per sfuggire alle insistenti e non gradite attenzioni di Apollo, preferì trasformarsi in un albero di alloro, concludendo drammaticamente l’inseguimento del Dio, pur di non diventare sua preda. Eppure Apollo non si percepiva come nemico: –“E’ per amore che ti inseguo”– diceva all’amata.

Le parole che il Dio rivolge alla ninfa in fuga esemplificano un concetto ricorrente nello “stalking”, un termine anglosassone che letteralmente significa “fare la posta”, preso dal linguaggio tecnico-gergale della caccia e che indica lo stato in essere di atteggiamenti  persecutori di un individuo verso un’altra persona.

Stalking riferisce a quella serie di comportamenti continuativi, molesti come telefonate, lettere anonime, e-mail, pedinamenti, appostamenti, minacce, aggressioni e intrusioni nella vita privata e lavorativa, che finiscono per determinare gravi e sistematiche violazioni della libertà personale (1).

Secondo i dati dell’indagine ISTAT del 2007 (condotta su un campione di 25.000 donne) nel nostro paese 2 milioni 77 mila donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni hanno subito comportamenti persecutori.

Ma chi è lo stalker?

Cosa spinge una persona a perseguirne un’altra che afferma di amare? Come si vede dal grafico, il gruppo più numeroso con la problematica è quello degli ex partner che non si rassegnano alla fine della relazione. Dal punto di vista psicologico, alcuni studi riferiti alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) sostengono che nello stalker c’è la presenza di un modello di attaccamento insicuro (ansioso – ambivalente, evitante o disorganizzato) per cui non può fare a meno dell”altra persona, la quale diventa necessaria per la propria esistenza: il soggetto lasciato non riesce a pensare ad altro che all’amore perduto.

Pur diffusissimo, è un fenomeno malcompreso e frainteso: in Italia, solo con la legge n. 38 di febbraio del 2009, lo stalking acquisisce una definizione e viene a costituire fattispecie di reato contro la libertà morale della persona, previsto dall’art 612 bis del codice penale, quando prima era inserito in modo generico nel reato di molestie.
Certo è, che nei meccanismi ideaffettivi posti in essere, lo stalker sembra non tenere in considerazione i sentimenti della donna: ed è qui interessante partire per considerare la dimensione sociale del fenomeno,  cioè  quanto questo tipo di violenza nel nostro paese è legata ad una cultura caratterizzata da disparità di genere e quindi alla condizione subordinazione della donna rispetto all’uomo.

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Io non ci sto

Qualche tempo fa il comune di Adro (BS) è salito alla ribalta della cronaca per un provvedimento che ha fatto molto discutere: ha privato della mensa scolastica i bambini delle famiglie che non pagavano la retta. Tra tante reazioni riportiamo quella di un cittadino dello stesso comune che con la sua presa di posizione ha fatto pensare molti.

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film L’albero degli zoccoli. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.

È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica. A scanso di equivoci, premetto che: non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona. So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina. Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male. I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, rna potrei portare molti altri casi.

Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino…). Ma dove sono i miei sacerdoti? Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.

Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”. Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro mese (regolari).

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Scuola: la nuova resistenza

Proponiamo un estratto dell’intervista della giornalista Simonetta Fiori ad Alberto Asor Rosa, già direttore del Dipartimento di Studi filologici, linguistici e letterari dell’Università “La Sapienza” di Roma, pubblicata dall’Editore Laterza nel volume “Il grande silenzio – intervista sugli intellettuali” – edizione 2009.

I paragrafi sono preceduti dalle sillabe D ed R ovvero “Domanda”, “Risposta”. Le domande sono riportate in corsivo.

D. E’ cambiato il senso degli italiani su fascismo e antifascismo. Il “berlusconismo” si connota come azzeramento del senso storico. Avanza numerosa la tribù dei nuoveax reactionnnaires. Siamo in presenza di un’egemonia culturale di segno radicalmente diverso?

R. Su questo io avrei qualche dubbio. E’ vero che a questa lettura storica rovesciata, o all’ideologia onnivora del presente, non si contrappongono efficacemente né grandi organismi collettivi come i partiti né i tradizionali artefici dell’opinione pubblica. Tra i giornali, alcuni sono consenzienti, altri non sufficientemente avvertiti. Sono pochi i quotidiani che tentano di opporsi a un uso pubblico della storia distorto e strumentale. Ho l’impressione che non vi sia lucida consapevolezza intorno a una fenomenologia che pure è allarmante. Quindi l’operazione in apparenza conosce pochi ostacoli. Sono persuaso però che nel paese vi siano ancora zone di resistenza molto forti, ed è da queste che dovremmo ripartire, quando avremmo deciso di iniziare il nuovo “percorso”.

D. Quali sono queste “zone di resistenza”?

R. Guardi, sono perfettamente consapevole di non essere in grado di farle un elenco ragionato. Del resto, se non fosse così, la diagnosi non sarebbe così pessimistica. Penso dunque che sia più utile parlare in questa fase di “zone di resistenza” che, nonostante tutto, si annidano pressoché ovunque all’interno dell’opinione pubblica, rifiutandosi di farsi coinvolgere nell’operazione corruttrice del berlusconismo. Naturalmente non parlo di operazioni strictu sensu politiche che richiederebbero un discorso tutto diverso. Continuo ad aggirarmi, sia pure in un’ottica diversa, nel campo delle funzioni intellettuali, che hanno il peso più rilevante in questa storia. Siccome non è più lecito aspettarsi granchè dai tradizionali maitres à penser, dobbiamo pensare ad aree di “pensiero diffuso”, spesso organizzate istituzionalmente, con funzioni pubbliche storicamente definite. Da tempo penso di scrivere qualcosa che cominci con questa frase: “Vorrei parlar bene della scuola italiana”. Unità nazionale, spirito critico, modelli culturali: da Sondrio a Capo Pachino non c’è altro tessuto che possa sostituire questo. Funziona male? Funziona, io penso, a macchia di leopardo, come qualsiasi macchina istituzionale comporta. Ma complessivamente è ancora un baluardo di dimensioni difficilmente espugnabili. E tuttavia, non casualmente, hanno già cominciato a provarci. L’accanimento con cui in questi mesi s’è tentata una disarticolazione pesante della struttura scolastica italiana, non a caso ripensata e ridimensionata, è segno rivelatore che in questi luoghi formativi il messaggio “neorevisionistico” o il nuovismo berlusconiano non sono penetrati. Naturalmente parlo sulla base di percezioni limitate e settoriali, che forse varrebbe la pena di approfondire. Come la pensano i professori di storia, di  italiano, di latino, di filosofia, di scienze, di matematica, di arte su questa fase della vita pubblica nazionale? Da quel che avverto, l’egemonismo della nuova cultura è rimasto fuori dalle aule scolastiche.

D. Sta dicendo che l’ideologia della “civiltà che avanza” ha trovato un bastione di resistenza nella scuola più che altrove?

R. Non è un fattore secondario se consideriamo il ruolo formativo svolto da queste strutture sulle generazioni più giovani. Recentemente sono stato tentato di scrivere un “elogio della scuola italiana” proprio per questa attenzione ai valori civili che altrove sembrano calpestati. Tra gli insegnanti, più che in altri settori della vita nazionale, persiste un livello di autonomia molto alto. Rispetto alla sciagurata smemoratezza dilagante nel paese, ai vuoti di memoria che contagiano pesantemente anche la sinistra, allo spirito del tempo celebrato da Berlusconi, la scuola è l’ultima frontiera: le sue strutture, i suoi docenti, i suoi libri di testo rimangono saldamente ancorati alla tradizione storica italiana. L’homo novus italico – plasmato dai Grandi Fratelli e dalle lusinghe della “civiltà montante” – s’imbatte qui in un grosso ostacolo.

D. Ed è per questo che si cerca di indebolire la scuola?

R. Il disegno mi sembra abbastanza evidente. Per il nuovo potere dominante, questo spazio formativo non ancora omologato allo “spirito del tempo” risulta intollerabile. Non è casuale l’attacco parallelo all’altro polo autonomo per decisioni e scelte, ossia la magistratura. Scuola e magistratura sfuggono al pensiero unico che si vorrebbe egemone: per questo devono essere smantellate.

D. Perché la scuola pubblica italiana riesce oggi ad assolvere una funzione del genere?

R. La scuola pubblica italiana è un’istituzione più che secolare, che ovviamente ne ha viste di tutti i colori, ma che neanche sotto il fascismo si è degradata ad ancella del regime. Del resto la riforma “fascista” della scuola era più una riforma idealistico – umanistica che non una riforma totalitaria, subalterna del regime, e portava il nome di uno che si chiamava Giovanni Gentile. Gentile, non Gelmini, mi spiego? Dopo l’antifascismo e la Resistenza, la scuola pubblica italiana s’è conformata allo spirito pubblico per decenni dominante, e per molti versi ha attinto alle culture migliori del periodo, quella cattolico – democratica, quella liberalsocialista e quella comunista; e poi, per una fase più vicina a noi, alle istanze progressiste, laiche, egualitarie e libertarie degli anni Sessanta e Settanta. Una miscela del genere può difficilmente essere devitalizzata. Poi, come sua caratteristica strutturale, la scuola ha a che fare con i processi formativi e con le giovani generazioni: un meccanismo che per sua natura rilutta all’incasellamento nelle maglie strette del “pensiero unico” e della dittatura mediatico – politica del berlusconismo. Uno non ci pensa mai, o ci pensa poco, ma dove altro mai gli italiani, i giovani italiani, hanno la possibilità di conoscere e praticare una cultura anch’essa di massa, ma non mediatica, e sufficientemente compatta e omogenea, se non nella scuola? Forse nelle famiglie? Lo escludo nel modo più assoluto. Anche qui si potrebbe osservare, sia pure marginalmente nell’ambito del nostro discorso: possibile che la “politica di sinistra” non se ne sia accorta, privilegiando fino in fondo il discorso su questo fondamentale bastione di resistenza?

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Questi anni difficili

La nostra economia è così legata al mondo che non poteva non essere pesantemente coinvolta da quanto accaduto nel 2008 con la crisi finanziaria  e la conseguente caduta della domanda globale (crollo del commercio internazionale, riduzione della produzione), già fiaccata, tra il 2007 e il 2008, dalla crescita vertiginosa dei prezzi delle materie prime.

E’ sufficiente ricordare, per aver un’idea della forza di questi legami, che circa 1/3 di quello che in Italia produciamo viene esportato e, d’altro canto, circa un terzo di quello che utilizziamo per consumi e investimenti viene comprato all’estero (dati Istat, contabilità economica nazionale). E’ come dire che su un ipotetico salario medio di 1.500 euro, 500 dipendono dalla domanda estera di nostri prodotti, e – corrispondentemente – circa 500 euro di quel salario saranno spesi per comprare prodotti e servizi costruiti e pensati all’estero.

La crisi partita da Wall Street è perciò arrivata in pieno e velocemente anche all’economia delle nostre piccole imprese, dei nostri distretti industriali, attraverso le “cinghie di trasmissione”. La prima cinghia è stata la riduzione degli sbocchi per le nostre esportazioni. Veneto e Friuli insieme hanno esportato per 24 miliardi nei primi 6 mesi del 2009 contro i 30 miliardi realizzati nei primi sei mesi del 2008: – 20% (dati Istat, contabilità economica regionale). A funzionare da seconda cinghia sono state le difficoltà di accesso al credito e il mutamento delle aspettative degli imprenditori (che hanno molta meno voglia di investire): ciò ha determinato un forte calo negli investimenti e quindi nella domanda di beni intermedi (da qui la crisi di molte piccole imprese del settore meccanico). Infine anche le imprese che producono per il mercato finale, vale a dire per i consumi finali delle famiglie, hanno dovuto fare i conti con la loro minor capacità di spesa, provocata sia dalla contrazione dei redditi di quelle famiglie (non poche) che hanno dovuto fare i conti con la perdita del lavoro per uno o più dei loro membri, sia dalla diffusione di un clima di preoccupazione per il futuro che ha indotto in molti a preferire il risparmio. Meno export, meno investimenti, meno consumi, vuol dire alla fine meno occupazione.

Rispetto ai livelli complessivi pre-crisi si può stimare che in Veneto e Friuli siano stati cancellati almeno 70-80.000 posti di lavoro, ma solo a fine anno sarà possibile tracciare un bilancio compiuto e sarà assai probabilmente peggiore rispetto a queste stime parziali. Di certo sono stati colpiti, soprattutto nella prima fase, i posti di lavoro nel settore industriale (manifattura e costruzioni): quindi lavoratori maschi e spesso stranieri. Sono aumentati i licenziamenti: nei primi 9 mesi del 2009 oltre 30.000 sono risultati i lavoratori interessati in Veneto e Friuli da un licenziamento (individuale o collettivo) e perciò inseriti nelle apposite “liste di mobilità”: più del doppio rispetto all’anno precedente.
Sono aumentate le sospensioni: nessuno sa di preciso quanti lavoratori in Veneto e Friuli siano stati collocati, per periodi più o meno lunghi, in cassa integrazione, ma si può azzardare una stima, per il 2009, di almeno 100.000 persone (dati Veneto Lavoro).