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Il potere, le regole e… la crisi

Può sembrare pretestuoso affrontare un argomento così impegnativo e complesso nelle poche righe del nostro foglio. Ma anche il nostro piccolo foglio senza pretese ha il dovere di proporre qualche riflessione soprattutto se stimolata dalla drammaticità dell’attuale crisi economica e finanziaria. Dunque, consapevoli delle inevitabili semplificazioni, accantoniamo i timori e incominciamo.

Esiste una relazione fra il potere politico, le sue regole e la crisi economica? Se la relazione esiste, la crisi economica significa anche crisi del potere politico?

È noto che il potere è strettamente connaturato all’organizzazione sociale che gli uomini hanno costruito nel corso della storia: ogni organizzazione sociale si articola e si sviluppa secondo regole che vengono date, e gestite, da un gruppo ristretto di individui che detengono il potere.
Perché questo gruppo ristretto di individui detiene il potere? In termini specifici: chi, o che cosa, legittima il potere? La risposta potrebbe essere questa: il potere è legittimato dalle regole che vigono in quel momento e quindi chi determina le regole detiene il potere.

È appena il caso di sottolineare che storicamente la prima regola è stata la violenza: il più forte dominava sugli altri (fatte le debite considerazioni va constatato che, purtroppo, è così anche oggi in molte parti del mondo dominate da regimi totalitari). Ma la sola violenza non è di solito sufficiente e funzionale, nel lungo periodo, al mantenimento del potere perché esso ha la necessità di essere accettato da chi gli è sottoposto.

La religione, per questo, ha svolto un ruolo formidabile: nell’antico Egitto il Faraone era figlio di Ra, il dio sole, e quindi la sua legittimazione derivava direttamente dalla divinità; Mosé, capo del popolo ebraico errante, ricevette direttamente da Dio le tavole della Legge, come se Dio gli avesse delegato il compito di far applicare le sue leggi. Quindi Mosé, applicando quelle regole, era direttamente legittimato da Dio. Dopo il periodo oscuro seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente la dinastia dei Merovingi, i cui discendenti reggono ancora oggi le residue monarchie europee, fu storicamente considerata diretta discendenza di Cristo.
La corona ferrea, così nominata perché secondo la tradizione contiene al suo interno un chiodo della croce di Cristo, fu solennemente posta dai papi sul capo degli imperatori, a partire da Carlo Magno. Anche in questi casi, e per secoli, la legittimazione del potere derivava direttamente da Dio.

Il lungo processo storico, culturale e politico che ha determinato la formazione delle moderne democrazie, ha avuto come risultato l’individuazione del popolo quale soggetto legittimante il potere. Il popolo possiede la sovranità ed esercita questa funzione delegando ai suoi rappresentanti democraticamente eletti la funzione legislativa, ovvero la determinazione delle regole.
Le regole, quindi, sono il prodotto della volontà popolare espressa attraverso i suoi rappresentanti.
La rappresentanza come metodo democratico ha potuto concretizzarsi, nell’ultimo secolo, grazie a quelle organizzazioni sociali costituite da aggregazioni di persone che condividevano ideali, valori e interessi: i partiti politici.

La combinazione fra crisi del sistema dei partiti e dei meccanismi di rappresentanza (in sostanza: la legge elettorale) ha influito in maniera significativa sulla crisi del sistema delle regole e quindi, in ultima analisi, sulla legittimazione del potere. Infatti se il potere è legittimato dalla volontà popolare espressa attraverso l’elezione dei suoi rappresentanti e il sistema della rappresentanza va in crisi, ciò non può non avere conseguenze sulla legittimazione stessa del potere. Il quale continuerà a produrre nuove regole, o a modificare quelle esistenti, al di fuori dell’effettivo controllo popolare e con lo scopo di conservare sé stesso o di elargire benefici alle oligarchie e favori a gruppi di cittadini a scapito di altri.

La progressiva perdita di significato di parole quali diritti, doveri, ideali, valori sostituite da termini come favori, delega, opportunità, convenienza, rappresenta un indicatore significativo della nostra modernità, che Z. Bauman definisce “liquida”. Ciò che sta nella modernità liquida muta continuamente i propri riferimenti in funzione del contesto che, a sua volta, muta continuamente privando così il tutto di qualsiasi riferimento. Paradossalmente le uniche costanti si chiamano oggi precarietà e flessibilità.

Il delicato e sottile equilibrio che sta alla base della democrazia, consenso popolare – rappresentanza – regole – gestione del potere per il bene comune – è ormai compromesso. L’unica speranza potrebbe essere rappresentata dall’acquisizione di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica. Ma la manipolazione dell’informazione permea il vivere quotidiano e impedisce così il riscatto delle coscienze.

E l’economia? Incominciamo con il dire che l’economia è una scienza anomala che in certi periodi o in certe collocazioni geografiche viene applicata in base al furore ideologico. Se dal punto di vista teorico, infatti, lo scopo del mercato è quello di aumentare il benessere (cioè il soddisfacimento dei bisogni) dell’universalità degli individui, secondo la teoria della “mano invisibile” di A. Smith, dal punto di vista pratico tutti noi assistiamo all’iniqua distribuzione delle risorse fra individui di una nazione e fra nazioni diverse.

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TFR – Istruzioni per l’uso

Ci siamo quasi.

Dal 1° gennaio ed entro il 30 giugno 2007 ogni lavoratore dipendente dovrà decidere cosa fare dei versamenti a venire del proprio T.F.R. (Trattamento di Fine Rapporto, la vecchia liquidazione insomma) e, dettagliatamente, se continuare con il sistema vecchio (mantenere il tfr in azienda e percepirlo all’atto di cessazione del rapporto di lavoro) oppure se rinunciarvi per aderire ad uno di quei meccanismi di gestione del denaro chiamati “fondo pensione”, per mezzo dei quali poter integrare la propria pensione con una quota di denaro a parte.

Nel marasma di informazioni -più o meno ufficiali e più o meno pubblicitarie- che si trovano in merito a questo lucrosissimo (parliamo di 14 miliardi di euro all’anno di versamenti TFR) argomento e, parlando non da esperto del settore, ma da cittadino comune e lavoratore direttamente coinvolto, m’interessa in questa sede, fare un po’ di chiarezza riguardo alle varie voci che si sentono o quantomeno fare un po’ di luce sui punti più scottanti, demandando l’approfondimento delle problematiche macroscopiche o delle situazioni specifiche ad altre sedi e modi.

In Rete (internet) le informazioni sono moltissime, ma tra le fonti che mi son parse più serie ed accreditate cito le seguenti:
http://www.tfr.gov.it/tfr/homeTFR.htm –> il sito istituzionale della Riforma previdenziale complementare.
http://www.beppescienza.it –> sito del prof. Beppe Scienza, autore de “Il risparmio tradito”, professore di matematica all’università di Torino.
http://www.asterisk.it –> Associazione Tutela Risparmiatori e Consumatori di Bolzano.

Innanzitutto delineiamo il quadro:

  1. La riforma della previdenza complementare nasce dall’esigenza da parte delle istituzioni di rispondere all’inevitabile decrescimento del valore della quota pensionistica della previdenza obbligatoria (INPS), effetto scaturito dalla riforma Dini del 1995 (il famoso passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo), o almeno questo è il motivo ufficiale.
  2. E’ importante ricordare a questo proposito che l’INPS sta pagando le pensioni con i contributi dei lavoratori attualmente attivi e che per i pensionati di domani (quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995) la pensione garantita s’aggirerà all’incirca intorno al 40% dell’ultimo stipendio, quota ritenuta certamente poco dignitosa.
  3. Ai fini di cui sopra, s’è pensato di “chiedere” ai lavoratori di rinunciare al proprio TFR (ex-liquidazione) hic et nunc, per aderire a dei fondi (cioè “sistemi di gestione finanziaria del denaro”, cioè “il mercato”, cioè “la borsa”) con i quali gestire tali versamenti e con il ricavato (?) di tale gestione andare così ad integrare la propria pensione garantita di vecchiaia o anzianità, quando sarà il momento.

Quali i problemi principali di questa “proposta”?

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La finanza etica e l’esperienza di Banca Etica

Le diverse esperienze dell’economia solidale nascono come reazione valoriale, ma anche concreta e propositiva, nei confronti di una economia giudicata troppo attenta alla crescita della ricchezza e poco alla sua equa distribuzione, più incline alla competizione che alla solidarietà.
L’economia solidale rifiuta la massimizzazione del profitto come obiettivo primario delle attività economiche e di sviluppo della società; ritiene, invece, che tale obiettivo vada individuato nel profitto sociale e nell’attenzione al bene comune, cui tutti possono contribuire:  poggia sul concetto di cittadinanza attiva e responsabile e considera di volta in volta l’individuo come cittadino attivo, consumatore critico, risparmiatore consapevole e responsabile. In quest’ottica l’economia solidale si adopera per elaborare nuove esperienze che conducano ad uno sviluppo sostenibile, rispettoso di tutti i popoli e attento alla salvaguardia dell’ambiente naturale.
All’interno di tale movimento si è imposta una forte riflessione sulla valenza del denaro, inteso come mezzo per raggiungere il profitto sociale e non come fine a se stesso.
In questo contesto la finanza etica riflette proprio sull’utilizzo del denaro, visto naturalmente nella sua particolare forma di risparmio.

Cos’è la Finanza Etica? E’ una finanza che ha come punto di riferimento la persona e non il capitale, l’idea e non il patrimonio, la giusta remunerazione dell’investimento e non la speculazione. La raccolta  di risparmio e il suo impiego, avvengono attraverso una gestione trasparente, dando la possibilità ai risparmiatori di conoscere il funzionamento dell’istituzione che gestisce il risparmio e la destinazione di ogni finanziamento. In maniera innovativa rispetto al sistema finanziario tradizionale,  si adottano criteri di valutazione e modi operativi che prendono in considerazione, insieme alle performance dell’impresa ed ai suoi rendimenti economici, l’impatto sulla società e sull’ambiente delle attività finanziate. E’ in questo contesto che si inserisce Banca Popolare Etica.
Nata dall’ostinazione e dall’impegno del movimento delle Mag ( Mutue d’Autogestione), del mondo della cooperazione sociale, del volontariato e dell’associazionismo, Banca Etica festeggerà l’8 marzo 2005 il suo sesto compleanno.

L’articolo 5 dello Statuto afferma: “Banca Etica si propone di gestire le risorse finanziarie di famiglie, donne, uomini, organizzazioni, società di ogni tipo ed enti, orientando i loro risparmi verso le iniziative socio-economiche che perseguono finalità sociali e che operano nel pieno rispetto della dignità umana e della natura… Banca Etica svolge una funzione educativa nei confronti del risparmiatore e del beneficiario del credito, responsabilizzando il primo a conoscere la destinazione e le modalità di impiego del suo denaro e stimolando il secondo a sviluppare con responsabilità progettuale la sua autonomia e capacità imprenditoriale.”
Essa esclude “i rapporti finanziari con quelle attività economiche che, anche in modo indiretto, ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti fondamentali della persona…”, escludendo, per  esempio, le relazioni con le imprese che commerciano in armi.
Coerentemente con questi principi, i finanziamenti concessi sono basati sulla valutazione di una istruttoria sia economica che socio-ambientale. I risparmiatori, le imprese sociali, le organizzazioni non profit e le imprese operanti in campo ambientale si dotano in tal modo di uno strumento finanziario concreto per affermare i valori della partecipazione democratica, della solidarietà, della trasparenza,  per uno sviluppo a volto umano dei territori in cui interagiscono.

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