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La crisi economica, in Italia

Tra i tanti stimoli che l’attuale crisi economica propone, due sono le riflessioni che mi vengono in mente per analizzare la situazione in cui ci troviamo.

La prima è la necessità di discernere -tra le molteplici- le opinioni realmente competenti, o ragionevolmente fondate, dell’economia capitalista e finanziaria che abbiamo creato e di cui viviamo. E da marxista (eterodosso) credo che il modo migliore sia quello di leggere e studiare gli interventi di chi si occupa professionalmente ed attivamente di queste tematiche, in particolar modo gli economisti cosiddetti “liberisti” (*).

Se è vero infatti che l’economia (come la medicina, peraltro) non è una scienza esatta, è altrettanto vero che non è una disciplina semplice, e dunque incomprensibile, se non si tenta almeno in parte di cogliere gli elementi o gli strumenti di base fornibili da coloro che si occupano professionalmente, o semplicemente studiano, questi temi. I modelli economici e macroeconomici di oggi in particolare si sono fatti molto complessi e variamente interpretabili. Le soluzioni non sono mai completamente risolutive ed i modelli predittivi non sono degli assoluti. Altrettanto vero è che viviamo in un mondo complesso, in cui i bisogni e le variabili mutano continuamente, e dunque risulta difficile, anche per attenti studiosi, capire i comportamenti dei mercati finanziari o le scelte dei governi politici.

Sgombriamo dunque il campo dai dubbi: non esistono “bacchette magiche” ed ogni scelta di politica economica rischia di non essere definitiva, ma di dover essere integrata e commisurata alle conseguenze che comporta, e spiegata chiaramente ai cittadini che la subiscono o la invocano.

La seconda riflessione è relativa alle definizioni di alcune “parole chiave” che si sentono spesso citare a sproposito nel dibattito politico-economico:
1) i “mercati” e (alternativamente) la “finanza” come Sauron, l’oscuro signore di Mordor, assolutamente tendenti al Male e bramosi di muoverci guerra per distruggerci;
2) il “debito pubblico” come una variabile indipendente, discesa dal cielo e del quale non abbiamo responsabilità passata o futura (“perchè dovrei preoccuparmi dei posteri, cos’hanno fatto i posteri per me?”);
3) lo “stato sociale” (pensioni, sanità, istruzione e tanto altro) come qualcosa di indefinitamente eterno, per i quali non bisogna lottare o sacrificarsi;

Precisando che non ho alcuna simpatia per le banche o per i mercati finanziari, o più in generale per il sistema fin qui costruito, ma che abbiamo NOI costruito attraverso ben definite scelte politiche ed individuali, vorrei chiarire quanto segue:

1) i “mercati” siamo noi, per il semplice fatto di vivere in una società dei consumi.

Nel momento in cui decidiamo di investire dei risparmi (se ne abbiamo) in un’operazione finanziaria (titoli di stato, obbligazioni, azioni, autonomamente od affidandoli ad un terzo), immobiliare (una casa, un appartamento, un terreno) od imprenditoriale (una fabbrica, uno studio, un negozio, un’attività di qualsiasi tipo), prendiamo parte al “mercato”. Anche se non siamo risparmiatori, imprenditori, inquilini, proprietari di casa o lavoratori, nel momento in cui decidiamo di soddisfare un bisogno economico (sia uno di base come quello di mangiare, od uno più lieve come fare una vacanza) acquistando un bene, accettiamo l’idea di essere in un “sistema di economia di mercato”. Assurdo negarlo.
Per inciso, una reale opposizione a tale sistema economico la dispose Stalin in Unione Sovietica, con l’abbandono della NEP, ma anche Mao o altri politici comunisti, nella storia e nel mondo.

La “finanza” è un meccanismo generato da, ed indispensabile a, questo sistema di economia di mercato. Nel momento in cui attribuiamo un valore al denaro-merce (valutabile in un certo interesse), abbiamo bisogno di enti (banche, finanziarie, assicurazioni) e strumenti (mutuo, finanziamento, cessione di credito, titolo di Stato, emissione di obbligazioni, collocamento azionario) per gestire  questo denaro; e abbiamo anche la possibilità (anche qui per PRECISE scelte politiche) di “giocare” con questo denaro in maniera sempre più complessa (derivati, vendite allo scoperto, opzioni…). Da ogni operazione può o non può derivare un guadagno (rendita finanziaria), che, tassato per un certo importo, rientra in parte anche nelle casse dello Stato.
La signora anziana che comprava i BOT negli anni ’70 è parte di questo sistema tanto quanto la FIAT od altre aziende industriali quotate in borsa che si reggono sugli andamenti dei mercati finanziari (FIAT sarebbe fallita da tempo senza l’utilizzo di efficaci strumenti finanziari…). Se non teniamo conto che la finanza è INTRINSECAMENTE indispensabile e legata al nostro sistema, non possiamo avanzare nessuna proposta alternativa.

All’interno della finanza vi sono e vi sono state innumerevoli storture ed incongruenze (la reale efficenza delle famose agenzie di valutazione, i compensi multimilionari dei top-manager di società e banche, l’utilizzo di strumenti per evadere il fisco, la tassazione delle rendite inferiore rispetto al reddito, le innumerevoli truffe da parte di bancari e agenti assicurativi nel consigliare investimenti sbagliati o rischiosi), ma tutte consentite da precise SCELTE politico-ideologiche di “liberalizzazione” e “deregolamentazione” dei mercati e servizi finanziari. Ciò, unito ad una politica monetaria (cioè delle Banche Centrali, cioè degli Istituti che battono moneta) a dir poco dissennata, con l’eccessiva circolazione di denaro a basso tasso di interesse, ha aggravato e contribuito alla crisi attuale.
Una delle caratteristiche principali della finanza, contrariamente alla cosiddetta “economia reale”, è di essere un gioco a somma zero (anche se il dibattito in materia è aperto), cioè un sistema che non crea ricchezza, ma che semplicemente la sposta.

(segue a pag. 2)