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Il vescovo e il ciarlatano. Omaggio alla musica popolare

Ma da qualche tempo è difficile scappare / c’è qualcosa nell’aria che non si può ignorare / è dolce, ma forte e non ti molla mai /è un’onda che cresce e ti segue ovunque vai / E’ la musica, la musica ribelle / che ti vibra nelle ossa / che ti entra nella pelle / che ti dice di uscire / che ti urla di cambiare / di mollare le menate /  e di metterti a lottare.

[Eugenio Finardi, “La musica ribelle”, da “Sugo”, 1976]

Ha da poco compiuto un anno di vita un gruppo musicale che ha fatto dell’esperienza live la propria ragione d’essere: IL VESCOVO E IL CIARLATANO.

Questo progetto unisce già nel nome (scippato dall’omonimo saggio di psicologia di Giorgio Manganelli) le due forze che lo muovono, strettamente legate alla materia trattata: la musica popolare e cantautorale del nostro Paese, per lo più prodotta dalla fine di quel lungo decennio che parte dal 1968, e che vide l’Italia tutta, scossa da fremiti di ogni tipo. Musica che si fa veicolo di infinite istanze, con la precisa consapevolezza che non ci sono confini tra l’essere artisti e l’esercitare il diritto ed il dovere di prendere posizione, di farsi portavoce. E’ questa l’anima più seria, impegnata, rispettosa delle fonti e degli intenti. Il repertorio che propongono è molto vario da questo punto di vista: da Fabrizio De André ad Alberto Fortis, da Rino Gaetano ca Ivan Graziani, a Battiato, Fossati. Senza rinunciare ad incursioni in territori solo apparentemente più leggeri, quali pezzi di Cocchi e Renato, o di Elio e le storie Tese, per esempio. Sono canzoni che raccontano, esaltano, ironizzano, provocano, ma che mai rinunciano e dare giusta importanza alle parole, che sono, sempre e nonostante tutto, veicolo di messaggi, a volte di critica sociale.

La seconda anima è quella più giullaresca, conviviale, rumorosa ed improvvisata, spontanea, il concerto. E’ questo il momento in cui si fanno attori di un antico mestiere: usare il proprio corpo e la propria energia come catalizzatori di un momento topico dello stare insieme, il coinvolgimento totale. In poche parole, via i freni e si canta, meglio se davanti ad un bicchiere di vino rosso.
Alfieri delle proprietà terapeutiche e fraternizzanti della musica, in un crescendo di interventi ai confini dell’avanspettacolo, ogni loro esibizione si trasforma presto in una festa in cui sono tutti chiamati a contribuire. Per questo prediligono suonare in locali contenuti e “caldi” come osterie e birrerie, ed in sagre e feste paesane; il confine tra il loro spazio d’azione e quello di chi hanno davanti non ha ragione d’esistere, riconoscendo, tra il serio ed il faceto, la giusta dignità ad entrambi.

Nato come una scommessa tra amici – presto sfuggita di mano – il progetto vede coinvolti inizialmente Loris Cusan alla voce (alla sua prima esperienza in formazione, vera sorpresa in continua crescita) e Gian Marco Orsini alla chitarra (figura mitologica della  storia musicale del portogruarese, ricordiamo fra le tante la militanza nei leggendari Neurox negli anni Ottanta e nel Monica Guareschi Group nei Novanta). Il passaggio di quest’ultimo al basso acustico avviene  contestualmente all’entrata prima di Claudio Barro (compagno inseparabile di Orsini in innumerevoli avventure musicali e in quella della fondazione di Woodstock Music Village, una della realtà musicali più vive e solide d’Italia) che si posiziona alle chitarre; poi di Flavio Di Nardo (che vanta la partecipazione in molteplici ed eterogenei progetti musicali) alle percussioni; e di Michele Marchesan (dalla lunga e prestigiosa carriera bandistica) alla fisarmonica.

Ma IL VESCOVO E IL CIARLATANO è una creatura viva, in continuo divenire, per sua stessa natura aperta alla collaborazione. Niente di cui stupirsi se una sera vi troverete proprio voi dietro un microfono a cantare “…ma il cielo è sempre più blu…”.

Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora / se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà.

[Ivano Fossati, “La canzone popolare”, da “Lindbergh”, 1992]

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