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Lionello Fioretti

Il mulino scomparso di Stalis

Ormai il rovo e la vitalba
aggrediscono la pietra angolare,
lattine e membrane di politene
hanno singulti in una strozzatatura d’acque:
sarà possibile ancora uscire
nel focolare invernale del tramonto
quando una vampa tenta di lambire
fascine di frassini intorpiditi d’edera?
Sarà possibile nell’ora tumescente
dove i viottoli e le passerelle
scivolando incerti
conducono alla macina scomparsa della memoria
smascherare il vuoto
d’orma galleggiante
barca piatta di fiume
senza passeggeri e senza voci?
esiste già nei volti
la vertigine d’ombra
che davanti e dietro
accompagna il Lemene
che scorre senza bisbigli di rive.
A chi pagherò la tassa sul macinato
quale mugnaio abbagliante di bianco
farà riapparire in un lampo nel setaccio
gli sguardi che amammo?

Granello di farina
piuma di cincia
respiro affievolito
curva d’orbita galassia
ciglia di giunco
Vibratile nell’iride dell’acqua.

Lionello Fioretti

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Lionello Fioretti

Di sé ha scritto:

“In un giorno di vento, Lionello Fioretti nacque a Bagnarola,
benedicendo la primavera del ’45.
Per rendere lieti i genitori dimorò nelle galere della scuola italiana,
laureandosi in lettere a Padova,
dove capì suo padre che esclamava ”mus padovan”,
quando da piccolo impuntava i piedi.
Non volendo trasmettere ignoranza a ignoranti,
evitò a muso duro e berretta rincalcata, la carriera scolastica.
Non potendo vivere di pittura (ebbe un maestro misericordioso
e pieno di significativi silenzi: Tramontin),
diventò medico di dipinti antichi,
condannandosi a un eterno precariato:
non conosceva l’uso della “sportula”
e in più diceva quello che pensava: insomma un discreto imbecille.
Ebbe (chi è il maestro, chi è l’allievo?) esperienza di insegnamento
Di tecniche pittoriche, maschere e altro, in corsi liberi con terze età,
portatori di handicap e fuori di testa.
Particolarmente con questi ultimi si trovò bene, fu accolto con
Larghezza, si riconobbe e fu riconosciuto,
proprio come Pinocchio, quando nel teatrino di Mangiafuoco
fu festeggiato dalle altre marionette.
Ahimè dipinse, scrisse, ma cucinò per sé e per gli amici.
Ai fornelli cuoco raffinato (anche gli invidiosi davano il placet)
Capì di aver sbagliato carriera e che nel calderone universale,
instancabili collaboratori,
veniamo tutti cotti a puntino, anche i furbi. Amen”.

(da I’sielc’ peravali’)

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