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Delle maestre di una volta…

In questo periodo dell’anno mi vengono in mente un sacco di proverbi e modi di dire.
Sarà perché è primavera e, si sa, non esistono più le mezze stagioni oppure è piovuto per un mese, sia sulle palme che sulle uova; forse perché siamo in campagna elettorale e qui i luoghi comuni si sprecano o semplicemente perché, disillusa e di mezza età, non trovo grandi cose da dire che non siano frasi fatte.
Una cosa che ho sentito dire in questi ultimi tempi è che “non ci sono più le maestre di una volta”. Pare che vada forte. Soprattuttotra le madri, padri, nonne e nonni di bambini in età scolare, che non posso esimermi dal frequentare visto che ne ho due anch’io. Sarà proprio così? Allora mi abbandono a qualche ricordo.
Io rammento bene la mia maestra; ovviamente parlo di un esemplare risalente a più di una trentina di anni fa, quindi sicuramente rientra nella succitata categoria.

La mia Maestra (con la maiuscola, allora era così) era una vera signora.
Di mezza età (mi sembrava a quel tempo, ora facendo i calcoli doveva essere più giovane di me adesso) era bella, elegante anche sotto il suo grembiule, scarpe col tacco e calze fine anche nei giorni della merla, unghie smaltate di rosso, pettinata, truccata e soprattutto profumata. Ricordo a malapena il suo nome ma il suo profumo sì. Quando giocavo alla scuola mi impiastricciavo di cera di cupra della mamma per imitarne l’odore.
Lei era una dea, un essere soprannaturale, onnisciente ed onnipotente.
Lei non camminava, fluttuava. Lei non parlava, cantava. Lei non piantava la classe per bere il caffè con le colleghe, evanesceva. Lei non ti dava potenti scapaccioni e umilianti punizioni, sapeva mantenere la disciplina. Lei non lavorava a maglia durante le lezioni, creava. Lei non stava tre mesi in vacanza, si godeva un meritato riposo.

Tuttavia, a ben pensarci, a scuola si faceva Q.B cioè quanto basta, come nelle ricette di cucina.
Due quadernetti mignon, cartelle che non ti facevano certo venire la scoliosi, stilografica, carta assorbente, sei pastelli e, per i più fortunati i pennarelli, bene di lusso che potevano durare tutto l’anno iniziando ad “allungarli” con alcool dopo natale.
Le attività scolastiche erano come i farmaci, da banco, nel senso che si stava seduti e zitti; sono arrivata troppo tardi per le aste ma in tempo per i dettatini a sfondo ortografico-aneddotico-stagionale. Le ore di religione si esaurivano con le poesie per i defunti, natale e pasqua, la storia stile “leggi-ripeti” e la geografia coi nomi a memoria. Gli asinelli in ultimo banco. Fine della storia.
E così siamo cresciuti; un’intera generazione che ha colmato lacune in età matura, senza grosse pretese ma neppure grossi traumi e con l’idea che non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice; cioè con la giusta dose di sane frustrazioni e il senso dei limiti.
Oggi non ci sono proprio più le maestre di una volta; assistiamo alla caduta delle dee.