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A proposito de “La versione di Barney” di Mordecai Richler

Chi non ama l’umorismo ebraico non deve leggere questo libro!
E nemmeno chi si stanca o si perde nelle divagazioni narrative, nei salti dei piani temporali o spaziali, nelle funambolerie apparentemente illogiche dei livelli storici.
Ma neanche coloro che non accettano uno stile espressivo spesso volgare, offensivo, irriverente e sempre, assolutamente, totalmente politicamente scorretto!
Ecco, per tutti costoro – sono avvisati – La versione di Barney è lettura decisamente vietata!
A tutti gli altri il libro è permesso, anzi vivamente consigliato.

Barney Panofsky, alcolizzato produttore televisivo franco-canadese, ebreo, ormai quasi in bolletta, è un personaggio che prende il lettore a sberle in faccia (sberle yiddish, naturalmente) e lo fa attraverso il racconto della sua mirabolante picaresca esistenza, alternando flashback a momenti di contemporaneità vissuta ( vedi la descrizione dei disturbi alla prostata che funziona male quanto la sua memoria) profondamenti amari.
La sua è una specie di arringa difensiva, presentata sotto forma di confusa, spesso sconclusionata, sempre sarcastica biografia, per difendersi da un’accusa di omicidio – da cui per altro è già stato assolto per mancanza di prove – rivoltagli da un suo vecchio conoscente.
Nel racconto, tutto si mescola, si avvita, esplode tra i membri dell’intelligentia parigina, in mezzo ai quali gli è capitato di vivere negli anni del dopoguerra, su cui l’occhio e soprattutto l’affilata e bisbetica lingua di Panofsky si lanciano con dissacrante cinismo, svelando i fariseismi sia di una certa borghesia intellettuale sia dei sostenitori americani ed europei dello stato di Israele.
E tra tutti questi apparenti sproloqui, accuse, insulti, autogiustificazioni e invettive, scorrono anche le storie d’amore, anzi l’unica vera storia d’amore della vita di Barney: quella con Myriam, la terza moglie da cui ha avuto tre figli ed è divorziato, l’unica donna per lui degna di questo nome, nonostante i continui, sarcastici e impudenti distinguo.

C’è da aggiungere altro?
L’umorismo anarchico, sfrontato, irriverente, yiddish di M.Richler non potrà non affascinare un lettore acuto e spiritoso, che alla fine del libro scoprirà, perfino, di amarlo.

E’ augurabile che il film, tratto dal romanzo, riesca nello stesso intento.

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