Ambiente Archivi

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Incontro con Michele Zanetti, “Gli animali stanno vincendo”

Salve a tutti!

Informo che venerdì 18 febbraio 2011 alle ore 21, presso la Villa Ronzani di Giai di Gruaro, si terrà l’incontro con l’amico, collaboratore e naturalista Michele Zanetti dell’Associazione Naturalistica Sandonatese, che presenterà il suo volume dal titolo “Gli animali stanno vincendo”.

Allego la locandina dell’evento ed invito tutti a segnalare la serata.

  Incontro con Michele Zanetti - Gli animali stanno vincendo (370,2 KiB, 23 download)
Non hai il permesso di scaricare il file.

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Acqua. Che altro?

È partita la raccolta di firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, cioè per l’abrogazione del cosiddetto “Decreto Ronchi”. Che cosa significa privatizzare l’acqua? Padre Alex Zanotelli, parlando a nome del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, ha usato questa espressione: “Avete mai pensato di privatizzare vostra madre? Privatizzando l’acqua è come se voi lo faceste”. La madre ci dà la vita, quindi è come se privatizzassimo la nostra vita, che, quindi, non ci appartiene più ma appartiene a coloro che hanno il potere di aprire o chiudere il rubinetto. Sillogismo ardito? Vediamo.

Per la legge italiana l’acqua è un bene pubblico (Legge 36/1994, c.d. “Legge Galli”). Enunciato questo principio fondamentale, la legge declina una serie di norme mirate alla razionalizzazione di ciò che viene chiamato servizio idrico integrato, ovvero la gestione, secondo criteri di economicità efficienza ed efficacia, degli impianti, delle reti e delle strutture che consentono da un lato l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua, dall’altro il suo smaltimento e depurazione. L’Ente pubblico preposto alla gestione del servizio viene chiamato A.T.O. (Ambito Territoriale Ottimale). Sino ad oggi gli A.T.O. hanno assorbito le competenze dei consorzi acquedottistici di interesse locale con l’obiettivo di accorparli e di assumere una competenza territoriale coincidente con quella della provincia di appartenenza.

Quindi, subdolamente, la legge del 1994 salva in maniera farisaica il principio di acqua come bene pubblico ma sposta radicalmente gli obiettivi sulla gestione del servizio idrico che è un servizio pubblico e come tale va affidato sulla base delle normative europee in materia di appalti pubblici di servizi. Dal 1994 ad oggi il settore è stato oggetto di una miriade di provvedimenti da parte della CE e da parte dei Governi italiani che si sono nel frattempo succeduti con il risultato di legittimare un principio che appare inaccettabile: con l’acqua si fanno profitti. I famigerati “combinati disposti” dei vari provvedimenti legislativi, ultimo il c.d. Decreto Ronchi, prevedono infatti l’affidamento del servizio idrico integrato con gara d’appalto di rilevanza europea a soggetti privati e la possibilità, da parte dei privati aggiudicatari del servizio, di intervenire sulle tariffe aumentandole per conseguire profitti. Assurdo: io Stato ti legittimo ad aumentare il prezzo dell’acqua a tuo piacimento perché tu possa fare profitti!

Fare profitti significa disporre di una quantità di denaro (molto) che deriva dalla differenza fra i ricavi e le spese. I ricavi sono dati dai soldi che ogni utente versa pagando la bolletta, le spese sono le spese di gestione degli impianti, del personale, dell’energia elettrica, del consiglio di amministrazione, dei vari presidenti, segretari, ecc. e degli investimenti. Come si fanno i profitti? Aumentando le bollette e non facendo investimenti (monsieur de Lapalisse ringrazia infinitamente). Perché, in nome del mercato, del liberismo, della libera impresa e di tutte le menzogne che ci stanno raccontando da almeno trent’anni, non si possono certo obbligare i poveracci che fanno profitti con le nostre bollette a reinvestirli nel miglioramento delle reti. Le quali reti, secondo l’ultimo rapporto del Comitato per la Vigilanza sull’Uso delle Risorse Idriche, sono un vero e proprio colabrodo. Lo stato di usura è tale da provocare la perdita media del 34% dell’acqua immessa nelle tubature ed il 30% della popolazione italiana è sottoposto ad approvvigionamento idrico discontinuo ed insufficiente. Vi sono, anche nel nostro territorio, centinaia di chilometri di reti costituite da tubazioni in acciaio ormai bucate dal fenomeno delle cosiddette micro pile geologiche o costituite da eternit.

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Il Lemene o il Kwai!?

Dopo anni di difficoltà di passaggio per i pedoni, è stata costruita una passerella parallela al ponte di Boldara.
Avevo proposto di farla progettare e costruire gratuitamente da generosi sponsor, ma L’Amministrazione locale ha pensato fosse meglio  realizzarla con i nostri soldi.
Ormai è stata costruita. Ormai è praticamente distrutta come quella sul famoso fiume Kwai…. L’assenza di rallentatori, i dossi che chiedo invano da 25anni, favorisce una velocità eccessiva da parte dei veicoli in transito.

Molti hanno cozzato contro le paratie ed il tubo in uscita alla curva.
Come si può evincere dalla foto 1, il tubo è piegato in più parti e le ringhiere su tutti i lati del ponte sono storte, a causa delle centinaia di scontri con camion, vetture, furgoni,
trebbie, trattori e scavatori.

Osservando bene si può altresì notare che la stessa lamiera del ponte, di spessore un centimetro, è sollevata e crepata.

I tanti coperchi dei pilastri di legno sono scomparsi (erano sigillati solo con un po’ di silicone).

Si può inoltre osservare come la deviazione sotto il ponte sia spesso ingombra di materiale galleggiante, quali: tronchi, cadaveri di animali, vegetazione acquatica, e finanche sacchi di pattumiera, lattine, borse, polistirolo, bottiglie di plastica e vetro.
Mi chiedo  perché si trovino lì: perché non si pulisce o perché la gente è fondamentalmente sporca e incivile?

Perché quando si visitano i paesi a noi limitrofi, come Austria, Slovenia o  Croazia, non si trova quanto devo sopportare (e pulire) ogni giorno a Boldara?
Ossia la vergognosa consuetudine, almeno da 25 anni a questa parte, di usare il proprio fiume come pattumiera? (vedi foto 2)

Ovviamente, per pulire il fiume, è necessario l’uso di una macchina operatrice che deve lavorare sul fianco sinistro del fiume.
Mi ero reso disponibile presso il progettista (Arch. Daneluzzi) per l’ancoraggio di una sponda  mobile su un mio robusto palo di confine (foto 3): una sponda unica che, una volta aperta, avrebbe enormemente facilitato l’accesso al fiume.

Invece il progettista ha preferito elaborare una sponda mobile in tre tronconi (foto 4) con 4 lucchetti (ormai arrugginiti come quelli del Titanic), articolati su tre pali di cui uno fisso nel bel mezzo della sponda!

Senza contare il posizionamento assurdo dell’illuminazione pubblica proprio in quel posto, per complicare ulteriormente le manovre della macchina operatrice.
Un progetto di certo fatto più a tavolino che su conoscenza del posto.
Ormai la struttura esiste, ma mi chiedo: che sia stata collaudata ufficialmente (a me non risulta)?

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Caccia, in Italia e nel Veneto

Caccia, magico termine generalmente applicato a uomini che “cacciano” altri uomini (cacciatori di criminali, cacciatori di terroristi, cacciatori di evasori fiscali – questi ultimi assai più rari e meno di moda). Non esiste o non dovrebbe più esistere la “caccia agli animali”: per una ragione molto semplice, ovvero perché non abbiamo più bisogno di uccidere animali selvatici per nutrirci.
Eppure la caccia continua ad esistere; anzi, è una realtà “viva e vitale”, almeno in Italia e soprattutto politicamente.

Cosa c’entri poi la caccia con la politica dovrebbero spiegarcelo i nostri parlamentari (nazionali e regionali) di ambedue gli schieramenti. In fin dei conti i cacciatori sono in via d’estinzione e, a livello nazionale stanno scendendo (fortunatamente) di numero anno dopo anno. Al punto che, tra non molto, dovranno essere proprio i protezionisti ad occuparsi di loro.

Nonostante tutto questo (e dunque, nonostante la loro condizione di esigua minoranza) accade tuttavia che una commissione parlamentare ha licenziato, proprio in questi giorni, una proposta di legge che prevede l’allungamento della stagione venatoria fino a 10 giorni oltre il termine previsto del 31 gennaio. E inoltre che, nella Regione Veneto, in concomitanza con l’annuale pubblicazione del calendario venatorio, vengono regolarmente inserite specie che non sono cacciabili a livello europeo. Piccoli uccelli, che non pesano il piombo della cartuccia impiegata per abbatterli; insettivori come la pispola o granivori come il fringuello, colpevoli soltanto di avere lo stesso sapore nel fatidico piatto dell’identità veneta, noto con il nome di “Poenta e osei”.

Tutto questo per dire che il calendario epocale del mondo venatorio (ma anche della società e della cultura popolare italiana) sta marciando all’indietro: verso gli anni ’50-’60 del Novecento.
E non mi si dica che i cacciatori ci stanno salvando dalle volpi e dalle gazze o dalle nutrie, dai cormorani o dagli altri fantasmi che la loro stessa cultura distorta ha creato e agitato.
A salvarci dagli invasori alieni basterebbe una politica dell’ambiente seria, che si avvalesse degli strumenti tecnici di cui dovrebbero essere dotate le pubbliche amministrazioni.

Peccato che i guardia-caccia provinciali di Venezia siano poi impegnati nella “caccia al venditore extracomunitario” sulle spiagge del Veneto Orientale.

Ancora una volta “uomini che cacciano altri uomini”.

Michele Zanetti, naturalista

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Acqua… che fare?

Dal 16 al 22 marzo, si è tenuto ad Istanbul il quinto Forum mondiale dell’acqua, un summit importante, anche se da più parti criticato, al quale è approdata anche la battaglia dei gruppi che combattono per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano universale e contro la privatizzazione della gestione idrica. I lavori del Forum si sono conclusi però con un nulla di fatto e con il riconoscimento generico, senza alcun peso legale, che l’acqua è un “bisogno” di tutti, non un diritto.

È stata bocciata anche la proposta di Sarah Ahmad, presidente della Gender and Water Alliance, secondo la quale “il ruolo dei governi è proteggere la propria gente, proteggere i più deboli, i più vulnerabili, i poveri e chi non riesce a pagarsi i servizi minimi per avere acqua potabile, ad es. fornendo gratuitamente una quantità minima garantita cadauno”. È stato quindi disatteso il principio che “l’acqua -come dice Emilio Molinari presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua- è di tutti e va con tutti condivisa e gestita e non si può agire solo a livello nazionale”. Del resto lo stesso ONU, ha rinviato il riconoscimento del diritto all’acqua al 2011, ricorda sempre Molinari “lanciando un brutto segnale proprio nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.

Partecipando, a fine novembre, ad un convegno su questi temi a Milano Molinari ha ricordato come “in Italia una legge obbligherà le amministrazioni locali a privatizzare i servizi idrici” mentre nel mondo le cose vanno diversamente. In America Latina, per esempio, le lotte contro la privatizzazione e per il diritto all’accesso dell’acqua sono state il motore di cambiamenti sociali e politici epocali (Uruguay, Bolivia, Venezuela, Ecuador hanno rescisso i contratti con le grandi multinazioni e inserito nelle proprie costituzioni l’acqua come principio umano universale e la gestione partecipativa e comunitaria al servizio servizio idrico); in Francia, il Comune di Parigi ha deciso che entro il 2010 solo il pubblico garantirà tutto il ciclo dell’acqua, dalla produzione alla distribuzione, togliendola a Suez e Veolia, i due più importanti operatori mondiali privati del settore.

Nel nostro Paese è stato messo sotto accusa l’articolo 23 bis della legge 133 che rende sempre più difficile per i Comuni evitare la privatizzazione delle loro reti entro il 2010. Una legge duramente contestata dalle decine di comitati per l’acqua nati in tutta Italia e che hanno raccolto 440mila firme, depositate nel luglio 2007, per presentare una proposta di legge che favorisca “la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale” (Art.1, comma 2).

E mentre gli esperti discutono delle soluzioni da trovare per una gestione intelligente delle acque a livello locale, si moltiplicano le proteste: in Lombardia, per esempio, 144 Comuni hanno chiesto un referendum per cancellare una legge della giunta Formigoni del 2006 che anticipava il 23 bis e separava l’erogazione e gestione del servizio; ad Aprilia 7000 famiglie continuano a pagare le bollette al Comune, mantenendo la tariffa pubblica e respingendo quella di Acqualatina (la S.p.A. mista controllata dalla multinazionale Veolia) che comporta aumenti del 300%.

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Nucleare? Un costosissimo vicolo cieco…

articolo di Michele Boato

presidente de L’Ecoistituto del Veneto “Alex Langer” e direttore della rivista “Gaia”

Chiunque lo proponga, da destra o da sinistra, finge di ignorare che:

1. Il nucleare non è sicuro, è a rischio di incidenti catastrofici

Nel 1979 ad Harrisburg (Usa) si è sfiorata la “fusione del nocciolo”, che c’è stata a Cernobyl (Ucraina) il 26 aprile 1986, con decine di migliaia di tumori e leucemie nei 20 anni successivi e più di 1000 morti per tumore tra i soldati intervenuti; ha contaminato l’acqua di 30 milioni di ucraini; irradiato 9 milioni di persone. Oggi, nelle regioni confinanti, 2/3 degli adulti e metà dei bambini sono ammalati alla tiroide, c’è il raddoppio delle malformazioni.

Nel 2002 nell’Ohio (Usa) si è sfiorato lo stesso disastro; nel 2004 a Sellafield (GB) c’è stata una fuga 160 kg di velenosissimo plutonio rivelata solo dopo 8 mesi.

Dal 1995 al 2005 c’è stata una serie di incidenti gravi (con 7 morti e centinaia di contaminati gravi) nelle centrali del Giappone: tra cui uno gravissimo a TokaiMura nel 1999 (2 lavoratori morti, 3 gravemente contaminati e 119 esposti a forti dosi di radiazioni) e il più grande impianto nucleare al mondo chiuso il 16.7.2007 per i danni da terremoto.

Avere il nucleare vicino casa non è assolutamente la stesso che a centinaia di km.

2. Dopo 50 anni, non si sa ancora dove mettere le scorie radioattive

Ci sono milioni di tonnellate di scorie (di cui ben 250.000 altamente radioattive) senza smaltimento definitivo. Gli Usa hanno speso 8 miliardi di dollari in 20 anni senza trovare una soluzione. In Italia il governo ha dato 674 milioni di euro alla Sogin che, dopo il ridicolo tentativo di Scanzano J. (sismico, come gran parte d’Italia), non sa dove mettere le “ecoballe” radioattive: il plutonio resta altamente radioattivo per 200mila anni! L’uranio238 per milioni di anni.

3. Non esiste il nucleare “sicuro e pulito” di Quarta generazione

Le centrali di “terza generazione”, che Berlusconi vuole costruire, dovrebbero durare più di quelle in funzione (II generazione), senza aver risolto il problema delle scorie né della “sicurezza intrinseca” (spegnimento automatico se c’è un incidente grave). Le chiama “ponte” verso una quarta generazione” che promette sarà “assolutamente sicura, non proliferante, con poche scorie e meno pericolose”, ecc. Ma i reattori di IV generazione NON esistono! Sono previsti “dopo il 2030”, come se fosse domani; e quanto “dopo”?

Intanto il governo propone un colossale rilancio del nucleare, con reattori che, almeno fino al 2040, aggraverebbero tutti i problemi creati dal nucleare! Infatti l’Enel ha investito quasi 2 miliardi di euro per completare, in Slovacchia, due reattori di vecchia tecnologia sovietica, addirittura privi di involucro esterno, giustificandosi: “la probabilità di un impatto aereo è trascurabile”. In che mani siamo!

4. E’ favola “solo col nucleare si può fermare il riscaldamento globale”

Per avere una riduzione di gas serra bisognerebbe costruire una centrale nucleare ogni 10 giorni (35 all’anno) per i prossimi 60 anni. Così, con 2.000 nuove centrali nucleari, si fornirebbe il 20% dell’energia totale.

C’è qualcuno, sano di mente, che pensa si potrebbe procedere a questo ritmo?

Nessuno dei top manager dell’energia crede che le centrali esaurite nei prossimi anni saranno rimpiazzate per più della metà: il trend mondiale del nucleare è verso il basso: solo per mantenere il numero e la potenza delle 435 centrali attuali (ne sono già state chiuse 117) ce ne vorrebbero 70 di nuove entro il 2015 (una ogni mese e mezzo!) e altre 192 entro il 2025: una ogni 18 giorni! Tutto per continuare a produrre non il 20%, ma solo il 6,5% dell’energia totale

2.000 scienziati dell’IPCC (ONU) lo hanno certificato nel 2007: “Il nucleare non potrà fermare la febbre del pianeta”.

Inoltre il ciclo completo (estrazione ed “arricchimento” dell’uranio, smaltimento scorie, costruzione e smantellamento centrale) emette gas serra quanto il ciclo a combustibile fossile.

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Cronaca di un disastro meritato

Come al mio solito, tento di portare all’attenzione della comunità locale -Gruaro- argomenti trattati genericamente dai media.

Quando nel 1977 approdai in questa zona del Veneto, a Boldara in particolare, paesaggisticamente mi era sembrato tornare agli albori dell’800. Era uno splendido susseguirsi di prati, di appezzamenti di terra -i “campi”- ben protetti dalla bora da siepi e separati da profondi fossati adibiti al drenaggio, le “scoline”. Cosa rimane adesso di questa “gestione intelligente e responsabile del territorio”?

I Francesi, negli anni settanta, si sono resi conto dell’importanza fondamentale delle siepi e dei fossati. Erano le fondamenta dell’agricoltura biologica e della difesa del territori per impedirne l’erosione e l’aridità. Il Governo francese ha legiferato e imposto l’immediata protezione ed il ripristino  di queste strutture agricole. Negli anni novanta hanno festeggiato il ventimillesimo chilometro di siepi restaurato (20.000Km)!
Non posso esprimere un giudizio che si riferisca alla vasta superficie italiana ma è certo che a Gruaro siamo lontani dall’aver capito quanto scritto sopra.

Nella nostra zona si continua ad eliminare, far scomparire, a “tombare” (lugubremente più adatto) siepi e fossati. Ormai non resta che il ricordo dei centinaia di chilometri di fossati che fino a poco tempo fa ricevevano e convogliavano le piogge. Milioni di metri cubi d’acqua rimangono in superficie e si accumulano prima di finire direttamente nei fiumi i cui letti non possono che allargarsi a dismisura e inondare campi e zone abitative. Dopo oltre 50 modifiche al piano regolatore firmate dalla Giunta attuale e precedente (senza variazioni nella gestione del problema) per permettere una lottizzazione sfrenata, spesso inutile, il territorio è stato impermeabilizzato su centinaia e centinaia di ettari  grazie a catramazioni, cementizzazioni e costruzione di abitazioni, condomini e capannoni.

Contemporaneamente, non solo i fossati sono quasi completamente scomparsi ma quei pochi rimasti sono stati lasciati all’abbandono o sono divenuti oggetto di “strani” interventi. In effetti, ogni anno, lungo le nostre strade, si può osservare un mezzo meccanico che, accuratamente, ricrea l’alveolo del fossato colmo di vegetazione e sedimentato e, a pochi centinaia di metri a monte, un altro mezzo meccanico, quello dell’agricoltore, che con impietosa incuranza per il lavoro d’altri appena svolto, menefreghismo totale e ovvia inciviltà a favore di un guadagno del tutto personale, ara talmente vicino al fossato appena ripristinato da provocare la caduta di zolle di terra al suo interno. Zolle che, in primo luogo impediranno il deflusso delle acque ed in seguito la sedimentazione che farà diminuire la profondità dello scavo. Il tutto a nostre spese e pericolo.

Ma c’è di meglio: qualche giorno fa, curando l’impiegato di un Comune limitrofo a Gruaro mi sono lasciato scappare che a me non servono gli avvisi elettorali per conoscere la data delle elezioni: basta osservare la frequenza delle catramazioni delle strade: entro pochi giorni ci saranno le elezioni!

-“Ha ragione”- mi ha risposto molto seriamente l’impiegato – “… e lo facciamo troppo spesso laddove non serve proprio a nulla.”-
Solo propaganda populista.

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La politica ambientale… a Gruaro

Questa politica è come l’ultima proposta del Ministro Amato, o come alcuni aeroplani da combattimento: a geometria variabile. In volo di crociera, fra due elezioni, con le ali ripiegate, e quasi non se ne percepisce il passaggio, tanto va veloce.

Invece, durante la campagna elettorale, alettoni dispiegati al massimo, essa plana sulla cittadinanza, trasformando gli “ecologisti” più brillanti, di cui, ultimamente, tenta di recuperare i meriti, in pallide verdastre evanescenze. In quel periodo, i progetti ambientali si sovrappongono, si combattono, si offrono agli elettori a colpi di depuratori di ultima generazioni, di riforestazioni, di riqualificazioni, di acque cristalline, di disinquinamenti, di protezione al massimo livello, di impietosa repressione e ritorni alla natura di una volta.

Questo vale per tutti gli schieramenti.

Personalmente, io che di ambiente non vivo, ma soffro da 17 anni a Boldara, non ne voglio parlare, ma schiettamente descriverne la realtà attraverso  sia il mio impegno personale che quello della mia associazione “Un parco per Boldara”, tanto  vituperata quanto ignorata.

Nel 1980, ho trovato a Boldara, ambientalmente parlando, uno scorcio di ‘700 con dei prati stabili separati da splendidi filari di  “vencheri”; un Lemene dalle acque trasparenti, ancora ricche di una grande varietà di pesci e con le rive popolate di uccelli acquatici. Le strade erano bordate di alberi maestosi, “talponi”, platani, frassini, con quelle poche luci che bastavano alla circolazione ridotta di questa zona campagnola.

Nel 2007, qual è la situazione?
Grazie a circa 50 variazioni al piano regolatore, una superficie enorme di terreni agricoli è stata trasformata in zone edificabili. Certo è difficile resistere a non vendere un terreno agricolo, che dai 30 milioni all’ettaro passa ai 250, quando diventa edificabile. Ma di questo cambiamento d’uso, ne approfitta solo il venditore?

Esistono anche i prodigi: come fa una zona ad essere considerata di “completamento” (quando inclusa fra due case), quando essa è compresa solo fra una casa e il fiume? A Boldara si può osservare il miracolo.

Questa speculazione ha trasformato Gruaro in un complesso di  lottizzazioni, dove non sempre quanto costruito è abitato, ma diventa, a parer mio, una “fascia dormitorio”, molto comoda per la zona industriale vicina, ma scarsa di  attività culturali, ricreative o economiche. In sostanza, cosa può fare la gente fuori casa e fuori lavoro? Andare in piscina? Andare al cinema? Andare al teatro? Passeggiare facendo shopping? Ritrovarsi in una piazza alberata, accogliente, dove ci si può sedere e scambiare due parole? Andare in circoli ricreativi per imparare qualcosa, dalla musica alla ceramica? Prendere una navetta per recarsi in città? Fare una passeggiata  su una pista ciclabile  lungo le strade che incrociano le nostre campagne ancora intatte?

C’è una piazza, certo.
Con alcune panchine, senza appoggio dorsale, posizionate in modo perfetto per non godere dell’ombra del solo albero presente, assolutamente non autoctono (un leccio toscanosardo), una fontanella molto erotica, lo concedo, al limite di una superficie cementata, che arriva ai 54 gradi al primo raggio di sole estivo. Il tutto separato dal paese da una strada ad alta velocità, sprovvista di dossi di rallentamento.

Però, c’è una passeggiata, a destra e a sinistra del fiume Lemene, a Boldara.
Quella di destra è stata realizzata con l’ausilio di un cingolato che, in un paio di ore, ha azzerato un bosco di zona umida con avvallamenti naturali contenenti specie autoctone, ormai rare. Queste geologiche e naturali ondulazioni sono state “rettificate”  con terre di riporto di origine sconosciuta e arricchite, non solo di piante estranee, ma anche “orticole”. La passerella è stata, chissà per quale motivo, costruita nella zona golenale, di esondazione, quando bastava appoggiarla sul terreno vicino, rialzato. “La ciliegina sulla torta” è stata la creazione di una pozzanghera (che necessità una regolare e costosa disinfestazione contro le zanzare) addobbata con “Tifa”, giunco infestante che non lascia  spazio ad altre specie. In sostanza, un concentrato di non rispetto delle direttive del Genio Civile e della Forestale di Treviso, di cui abbiamo  la documentazione.

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Per tutti gli alberi sacrificati per “sicurezza”…

L’olmo caduto

Chiunque avesse abbattuto l’olmo
Non lo aveva tagliato netto,
E sanguinò finché la neve dal cielo
Non sanò la ferita con una placenta d’argento

Il tronco, lucente di smalto di ghiaccio
Bianco venato come teca di cristallo,
Rigido giacque contro la nuova voce
Sibilata tra i denti invernali del vento.

Qualunque mai cosa scaldasse
L’olmo fino alle radici entro il suolo
Pietosa come la primavera
Scaldò il cuore del fusto

Legato al suo ceppo da un lembo
Di legno, quasi cordone d’ombelico,
Simile a madre che nutra il figliolo
Nel suo mondo d’embrione

Finché poté far breccia nel muro,
E s’aprì il varco, quando ogni irto ramo,
Germogli di foglie esplose, in verzura
Dalla coppa dell’olmo caduto.

da L. SALOMON, in “Poesia americana del’900”, Guanda

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A N I M A – LI

Da molti anni studio il comportamento dei lupi, dei cani e dei gatti, questi ultimi due in relazione all’uomo. Trovo sia necessario comprendere ed approfondire la comunicazione con gli animali con i quali condividiamo la nostra quotidianità. Ristabilire armonia tra due specie è assai difficile, quando siamo sbilanciati verso un rapporto utilitaristico (cani da lavoro, etc.), o verso una relazione non rispettosa delle caratteristiche specifiche del cane, ad esempio cani considerati come bambini o peggio, una relazione basata sul “io comando, tu obbedisci”.

Purtroppo le relazioni su cui intervengo sono spesso ricche di luoghi comuni come: “il cane deve essere trattato da cane”.
Mi chiedo cosa significhi una affermazione di questo tipo, visto che non si sa il perchè di certe risposte da parte del cane, e non si sa come rendere giustizia alla  mente di un grande predatore (il cui progenitore è il lupo). Forse non è chiaro che il cane è un animale che vive il branco come noi la famiglia, ha bisogno degli altri componenti per cooperare e quindi per sopravvivere.

Vivere fuori in un giardino, magari da soli, non è ciò che si aspetta da noi, non è ciò che desidera da una relazione basata sulla fiducia. Quando decidiamo di vivere 10-15 anni della nostra vita con un cane è necessario essere responsabili del suo benessere, non solo nel fornirgli un ottimo e caldo riparo, una adeguata alimentazione non fatta di avanzi, ma bilanciata nei suoi ingredienti, assicurargli una profilassi sanitaria, anche per la salute pubblica (vaccini, sverminazione, disinfestazione contro pulci e zecche), ma soprattutto comprendere, come faremmo con chi consideriamo amico, il suo punto di vista. Non ha alcuna giustificazione l’uso di tecniche violente per farlo smettere di abbaiare e  farci obbedire per situazioni che in natura non esistono (uso del collare a strangolo, collare elettrico), quando in natura, sicurezza e protezione sono alla base della crescita di una cucciolata di lupi fino al raggiungimento dell’anno di età. Il potere in una relazione non risolve nulla, spesso acuisce i problemi.

Conoscere la mente del cane significa non solo costruire un rapporto fatto di fiducia, ma affinare anche la sintonia per prevenire comportamenti indesiderabili, significa evitare l’istigazione all’aggressività (con inutili giochi di lotta o manovre dolorose), conoscere le caratteristiche ed essere responsabili per la sua e altrui incolumità.
Essere competenti vuol dire conoscere, non in modo grossolano e superficiale, quella miriade di segnali che il cane ci manda, risolvere i conflitti e soprattutto evitare l’uso della punizione (spesso alla base di vecchi e inutili sistemi di addestramento)
La punizione fa perdere fiducia, “congela” la personalità e spesso promuove comportamenti aggressivi.

Ricordiamoci che la maggior parte di reazioni violente da parte del cane, compresi i morsi, avviene nei confronti della famiglia che vive con lui.

Per approfondimenti, informazioni e corsi: http://www.puca.eu

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