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Articoli di rudy

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Neurox: 30 anni e non sentirli

Nel 1981 un gruppo di amici con un’insana passione per la musica suonata, forma quello che sarà per i sette anni successivi la loro più grande occupazione: i Neurox.
Claudio Barro, fondatore ed anima storica della band (che ha visto in formazione Raffaella Ruggero, voce; lo stesso Barro al basso; il fratello Marco Barro, chitarra; Gianmarco Orsini, synth/tastiere; Maurizio “Lulu” Tolasi, dall’81 all’85, batteria; Daniele Sclip, dall’85 all’87, batteria), in una lunga chiacchierata casalinga mi racconta cosa è stata l’esperienza di militare in un gruppo nella prima metà degli anni ’80, un misto di dedizione pura, ingenuità ed intransigenza. Una conversazione che è stata un’occasione per fare il punto della situazione sullo stato attuale del panorama musicale portogruarese e non solo. Perchè i Neurox, dopo una pausa di quasi vent’anni si sono ristretti in formazione, con la loro solita attitudine sperimentale, a scanso di ogni sentimento di revival.

Ma andiamo con ordine.
Durante la sua prima vita, che possiamo racchiudere negli anni compresi tra l’81 e l’88, il gruppo  si può paragonare ad clan esclusivo, che pretendeva assoluta dedizione e fedeltà ai suoi membri: una filosofia che si è tradotta in una continua evoluzione musicale, in un percorso che lo ha visto partire da un’impronta punk di matrice bolognese, fino a perfezionarsi in un solido rock elettronico, affine a quell’ondata new wave che stava esplodendo in Europa. L’autofinanziamento nell”84 del 45 giri A Raving Night / Romantic allo studio Celesta, quello che è stato l’unico studio di registrazione di Portogruaro, è stata la tappa naturale di un gruppo di musicisti che avevano passato i tre anni precedenti a sperimentare e ad affinare il proprio suono nel loro garage-sala prove e in molte feste dell’Unità. Un passo che ha permesso loro, musicalmente maturi, di ritagliarsi uno spazio nel panorama rock nostrano, e di essere trasmessi con costanza nella rete delle radio private, complice l’incontro con Aldo Tagliapietra, storico fondatore delle Orme, che li nota e che per un periodo li accoglie sotto l’ala del suo management.

In un accumularsi di esperienze che li ha portati a dividere il palco con band che segneranno in maniera profonda la storia del rock in Italia, come i CCCP, i Litfiba, i Denovo, o i Gaznevada, e a venir recensiti su riviste di tiratura nazionale. Ma neppure il terzo posto nell’87 ad uno storico Rock Targato Italia, poi vinto dai Timoria, ha scalfito la loro attitudine naïf verso quel mondo, non preoccupandosi neppure di ritirare il premio, ma ripartendo subito per la delusione del piazzamento. “Eravamo dei provinciali senza alcun tipo di guida – confida sorridendo Claudio – l’unica cosa che ci interessava era suonare, non ci siamo resi conto di nulla, per noi era tutto normale: facciamo musica nostra, la facciamo bene, quindi è giusto che partecipiamo a certe manifestazioni. Non abbiamo fatto mai niente per promuoverci, pensavamo che bastasse suonare. Ovviamente non avevamo capito un cazzo di management.”

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Il vescovo e il ciarlatano. Omaggio alla musica popolare

Ma da qualche tempo è difficile scappare / c’è qualcosa nell’aria che non si può ignorare / è dolce, ma forte e non ti molla mai /è un’onda che cresce e ti segue ovunque vai / E’ la musica, la musica ribelle / che ti vibra nelle ossa / che ti entra nella pelle / che ti dice di uscire / che ti urla di cambiare / di mollare le menate /  e di metterti a lottare.

[Eugenio Finardi, “La musica ribelle”, da “Sugo”, 1976]

Ha da poco compiuto un anno di vita un gruppo musicale che ha fatto dell’esperienza live la propria ragione d’essere: IL VESCOVO E IL CIARLATANO.

Questo progetto unisce già nel nome (scippato dall’omonimo saggio di psicologia di Giorgio Manganelli) le due forze che lo muovono, strettamente legate alla materia trattata: la musica popolare e cantautorale del nostro Paese, per lo più prodotta dalla fine di quel lungo decennio che parte dal 1968, e che vide l’Italia tutta, scossa da fremiti di ogni tipo. Musica che si fa veicolo di infinite istanze, con la precisa consapevolezza che non ci sono confini tra l’essere artisti e l’esercitare il diritto ed il dovere di prendere posizione, di farsi portavoce. E’ questa l’anima più seria, impegnata, rispettosa delle fonti e degli intenti. Il repertorio che propongono è molto vario da questo punto di vista: da Fabrizio De André ad Alberto Fortis, da Rino Gaetano ca Ivan Graziani, a Battiato, Fossati. Senza rinunciare ad incursioni in territori solo apparentemente più leggeri, quali pezzi di Cocchi e Renato, o di Elio e le storie Tese, per esempio. Sono canzoni che raccontano, esaltano, ironizzano, provocano, ma che mai rinunciano e dare giusta importanza alle parole, che sono, sempre e nonostante tutto, veicolo di messaggi, a volte di critica sociale.

La seconda anima è quella più giullaresca, conviviale, rumorosa ed improvvisata, spontanea, il concerto. E’ questo il momento in cui si fanno attori di un antico mestiere: usare il proprio corpo e la propria energia come catalizzatori di un momento topico dello stare insieme, il coinvolgimento totale. In poche parole, via i freni e si canta, meglio se davanti ad un bicchiere di vino rosso.
Alfieri delle proprietà terapeutiche e fraternizzanti della musica, in un crescendo di interventi ai confini dell’avanspettacolo, ogni loro esibizione si trasforma presto in una festa in cui sono tutti chiamati a contribuire. Per questo prediligono suonare in locali contenuti e “caldi” come osterie e birrerie, ed in sagre e feste paesane; il confine tra il loro spazio d’azione e quello di chi hanno davanti non ha ragione d’esistere, riconoscendo, tra il serio ed il faceto, la giusta dignità ad entrambi.

Nato come una scommessa tra amici – presto sfuggita di mano – il progetto vede coinvolti inizialmente Loris Cusan alla voce (alla sua prima esperienza in formazione, vera sorpresa in continua crescita) e Gian Marco Orsini alla chitarra (figura mitologica della  storia musicale del portogruarese, ricordiamo fra le tante la militanza nei leggendari Neurox negli anni Ottanta e nel Monica Guareschi Group nei Novanta). Il passaggio di quest’ultimo al basso acustico avviene  contestualmente all’entrata prima di Claudio Barro (compagno inseparabile di Orsini in innumerevoli avventure musicali e in quella della fondazione di Woodstock Music Village, una della realtà musicali più vive e solide d’Italia) che si posiziona alle chitarre; poi di Flavio Di Nardo (che vanta la partecipazione in molteplici ed eterogenei progetti musicali) alle percussioni; e di Michele Marchesan (dalla lunga e prestigiosa carriera bandistica) alla fisarmonica.

Ma IL VESCOVO E IL CIARLATANO è una creatura viva, in continuo divenire, per sua stessa natura aperta alla collaborazione. Niente di cui stupirsi se una sera vi troverete proprio voi dietro un microfono a cantare “…ma il cielo è sempre più blu…”.

Alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora / se c’è qualcosa da fare / alzati che si sta alzando la canzone popolare / se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà / se c’è qualcosa da imparare ancora, ce lo dirà.

[Ivano Fossati, “La canzone popolare”, da “Lindbergh”, 1992]

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