La crisi economica, in Italia

2) il “debito pubblico” è stato (ed è) generato da diverse variabili, di cui tutti siamo stati (e siamo) compartecipi: senza entrare troppo in dettaglio, principalmente dall’aumento della spesa dello Stato rispetto alle entrate (tasse dei cittadini, imposte sui consumi, accise, contributi previdenziali, tariffe energetiche, investimenti finanziari,  ecc.) a cui si fece (e fa) fronte chiedendo denaro in prestito. Si può poi discutere sulle modalità ed efficacia della spesa pubblica, sull’evasione fiscale, sulla redistribuzione delle risorse, e si può anche discutere se questo debito si ripaga o meno, tenendo però sempre presenti le conseguenze delle scelte. (**)

Sempre senza entrare troppo in dettaglio, ci sono almeno 3 modi per pagare il debito pubblico:
a- spendere meno, lavorare di più e tassare di più (quindi ridurre redditi o risparmi od eventuali investimenti) e possiamo decidere chi tassare e come e quanto.
b- inflazionare la moneta o svalutarla (così da pagare la stessa cifra con una moneta che vale meno, ma per noi non è possibile, a meno di uscire dall’Euro o sperare che Frau Merkel cambi improvvisamente idea);
c- fallire, parzialmente o totalmente, cioè dicendo “pago più tardi” o “pago di meno”, o “non pago più”. Nel caso è comunque bene tenere presente che: c1- una larga parte del debito pubblico è in mani degli stessi cittadini italiani; c2- difficilmente si ottiene nuovamente denaro in prestito.

3) lo “stato sociale”, nato e creato sulla spinta delle socialdemocrazie, cioè di quei partiti socialisti che accettano l’economia di mercato, è una mera chimera per larga parte degli abitanti del pianeta. Tali “diritti indisponibili” devono essere pagati e “strappati alle grinfie dell’accumulazione capitalistica” (che sono anche i nostri redditi e risparmi), attraverso un’equa politica di redistribuzione delle risorse e precise scelte politiche che pongano tali diritti come prioritari.

Essi, infatti, non sono per sempre e non sono a costo zero: se non abbiamo un’economia sufficientemente ricca per poterceli permettere (cioè le tasse non sono sufficienti), abbiamo di fronte ben poche scelte: o paghiamo più tasse, e così rinunciamo a qualcosa e mutiamo il nostro stile di vita (nel nostro sistema: più tasse = meno consumi = meno investimenti = meno lavoro), o ci indebitiamo per poterli finanziare (da cui il punto 2), o muoviamo qualche guerra ad altri per accappararci risorse che ci permettano di finanziarli (per noi risibile, ma soprattutto immorale), oppure riduciamo il welfare parzialmente od in toto. Il dramma (o l’opportunità) della nostra società italiana, invecchiata, con pochi figli e scarse prospettive di crescita economica, con molte persone che abbisognano di pensioni ed assistenza sanitaria, è che inevitabilmente il futuro ci pone di fronte ad una delle suddette scelte.

Questo il quadro, da cui i margini di manovra nel mare in tempesta.
L’alternativa reale è se rimanere o se uscire da questo sistema che ci siamo costruiti, consapevoli di tutto ciò che la scelta comporta (in parte vedi il punto 1).

Molte altre sarebbero poi le problematiche da chiarire e moltissimi altri i temi da affrontare, in primis quello ambientale e quello delle risorse energetiche, oppure quello della decrescita o del “socialismo del XXI secolo“, per non parlare dell’eterno (ed intrinseco) problema delle diseguaglianze socio-economiche all’interno delle società capitaliste, ma già così il tutto mi pare sufficientemente ampio.

(*) Mao diceva: “È più facile avere a che fare con quelli di destra perché dicono quello che pensano”.

(**) per parlare della stretta attualità, ora siamo nella fase “facciamo vedere che possiamo ripagarlo”, domani probabilmente saremo nella fase “ci dispiace, nonostante tutto non ci riusciamo”.

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