Dall’università alla ricerca: amarcord ed esperienze rivisti a mente fredda

In ogni caso, quale che sia la causa di questo “buon costume”, di certo ne ha tratto giovamento il corso nel suo complesso che negli ultimi anni si è sempre mantenuto su buoni livelli sia per quanto riguarda gli iscritti che i laureati, la cui qualità pare non aver risentito troppo delle varie riforme che si sono succedute e che, in linea di principio, puntavano maggiormente sulla velocità nel concludere il proprio percorso universitario anche a se a parziale discapito della qualità finale.
Molti degli studenti che sono stati miei compagni di corso o che ho avuto modo di conoscere, oggi stanno affrontando con buoni se non ottimi risultati le rispettive sfide post-laurea, in molti casi anche all’estero.
Io stesso, durante il periodo di lavoro per la preparazione della tesi di laurea, ho avuto modo di fare alcuni, seppure brevi, periodi fuori dall’Italia. Il periodo di tesi, durato una decina di mesi circa, è stato uno dei più intensi in assoluto.

E’ stata la mia prima vera esperienza nel mondo della ricerca, non più vista dall’esterno o attraverso le parole di qualcuno venuto a tenere un seminario, ma dall’interno con le sue problematiche, le discussioni, gli infiniti test ma anche con la possibilità di confrontarsi con realtà diverse per modo di pensare e di lavorare. Tutti aspetti che oggi sono diventati il mio pane quotidiano. In questi dieci mesi ho avuto la fortuna, ma forse anche la bravura nello scegliere, di lavorare con una persona straordinaria, il mio relatore appunto, che è stato ed è tuttora un solido riferimento sia in termini di esperienza sul campo che di sostegno. Anche in questo, mi ritengo un privilegiato se paragonato a molti altri studenti che, spesso, si trovano ad aver a che fare con relatori per lo più assenti e che si disinteressano del lavoro dei propri laureandi, e li mollano ai propri assistenti ricordandosi di loro a malapena in prossimità della laurea, dovendo presiedere nella commissione giudicatrice.
Il sostegno del mio gruppo di lavoro non è venuto a mancare neppure quando si posto il problema del “dopo”, ovvero quali possibilità ci sono una volta acquisito il titolo? Problema non di poco conto di questi tempi.

Naturalmente, in 5 anni, vi sono stati anche momenti di crisi, momenti in cui la convinzione che la scelta fatta fosse quella giusta è venuta meno.
Ricordo che il momento più problematico sopraggiunse attorno alla metà del mio secondo anno e in quelle settimane mi chiesi se davvero fosse quella la strada che volevo intraprendere.

In questo caso, l’esperienza di alcuni amici più vecchi mi fu di grande aiuto, soprattutto nel darmi la giusta misura nel modo di vivere l’università. L’università non insegna un mestiere, non dà un lavoro, ma ha, o almeno avrebbe, lo scopo di preparare per il salto nel mondo del lavoro, di dare gli strumenti necessari affinché, nel settore di proprio interesse, uno studente sia pronto per affrontare il mondo esterno con le giuste carte da giocare. Probabilmente è questo aspetto che viene spesso dimenticato da molti: l’esperienza insomma, non è qualcosa che si può insegnare a lezione o su cui si possa disquisire in un esame. La si può solo consolidare sul campo. Tuttavia, c’è una cosa che può essere insegnata: avere la giusta umiltà per essere pronti ad acquisirla.

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