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Un Sillabario per il Sillabo

“… e liberamente vuol dire di non essere costretto a mandarli a scuola in una scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nell’ambito della loro famiglia” (Silvio).

– L’errore XLV
Svelato l’arcano dell’ostinazione con cui si susseguono da anni le riforme epocali della scuola: si tratta di correggere errori, emendare abbagli, mondare storture. Ce lo dicevano, del resto, già dal 1864 che è “uno dei principali errori dell’età nostra” quello di ritenere che “l’intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato […], possa e debba essere attribuito all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell’approvazione dei maestri” (Enciclica “Quanta cura”, Sillabo di Pio IX, errore XLV).

Il nostro Presidente, giustamente, non vuol passare alla Storia come “cavaliere errante” (cioè come uno di quei miseri che perseverano nell’errore), vuol anzi essere nostra guida e nostro aiuto nella sconfitta dell’errore stesso e del disordine. In modo persino accorato, egli ci ricorda dunque come sia assurdo che le pubbliche scuole siano rette dall’autorità civile, come sia assurdo pensare che non vi debba essere un’autorità morale superiore, la quale per sua natura non può esimersi dall’indirizzare gli studi, regolarne la progressione, scegliere e approvare i maestri: “non est enim potestas nisi a Deo”.

Facciamo barriera dunque all’errore, ripristiniamo l’antica verità: philosophia ancilla theologiae!

L’affermazione che segue grida infatti vendetta al cospetto di Dio:

“L’ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl’istituti pubblici, che sono destinati all’insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell’autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del tempo.” (Errore XLVII).

In un articoletto di un certo Paolo Deotto, sul sito web Riscossa cristiana. Sito cattolico di attualità, cultura, ecc., si legge tra l’altro “Ora Berlusconi ne ha fatta un’altra delle sue, ossia ha detto un’altra cosa arcinota, ma che si deve tacere. Ha detto che la scuola pubblica non educa…”

È arcinoto, dunque, che gli insegnanti nella scuola statale vogliono inculcare principi che sono il contrario di quello “che i genitori vogliono inculcare ai loro figli”. E la cosa è evidentemente dovuta al fatto che non c’è più un’autorità indiscutibile che vagli e approvi i maestri; non c’è più nessuno, oltre all’autorità civile, che si intrometta nella disciplina delle scuole…: ecco perché questi insegnanti della scuola di Stato possono impunemente “introdurre con violenza”, nelle menti dei giovani, principi contrari a quelli delle famiglie del nostro presidente.

E non c’è collega illuminato, o dirigente scolastico o genitore, che possa intervenire, chiedere, discutere con tali “inculcatori” al servizio dell’eresia: bisogna liberare gli Italiani dalla costrizione che li priva della libertà di educare i propri figli, dall’imposizione della scuola di Stato.

Certo è però che non si capisce come mai nella scuola di Stato (in questa sorta di Babilonia contro natura) ci siano anche tanti insegnanti certificati dall’autorità diocesana (25.694), e tanti insegnanti che si indebitano (magari usufruendo oggi di qualche sconto) per mandare i propri figli in quella stessa scuola “libera” in cui non hanno scelto di insegnare: fanno parte anch’essi di quelli che “non educano” e inculcano?

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– “Principi contrari a quelli che le famiglie vogliono inculcare”
Sono le parole finali, precise precise, delle cose arcinote divulgate dal Cavaliere alla platea dei Cristiano Sociali: applauditissime.

Ma le famiglie devono poter “inculcare” ciò che vogliono ai loro figli?
Certo! Tutte le più moderne teorie pedagogiche sono infatti concordi nel ritenere che alle famiglie, e solo alle famiglie, spetti il compito di “inculcare”: solo ad esse è lecito, se non doveroso e giusto, “introdurre a forza” e “spingere dentro col calcagno”, nella testa dei loro figli, i “principi che vogliono”.

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Calamandrei, chi era costui?

Piero Calamandrei nasce a Firenze il 21 Aprile 1889 dove muore il 27 Settembre 1956.

Dopo la laurea in giurisprudenza, divenne professore di procedura civile in varie università: Messina, Modena, Reggio Emilia, Siena e Firenze. Prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale volontario. Lasciò l’esercito per continuare la sua carriera accademica. Della sua vasta produzione giuridica si ricorda soprattutto “Introduzione allo studio delle misure cautelari” del 1936, un trattato d’avanguardia che farà compiere un grande balzo in avanti alla scienza processuale italiana.

Politicamente impegnato a sinistra, partecipò con Dino Vanucci, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli alla direzione di “Italia Libera”, un gruppo clandestino di ispirazione azionista. Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura di Mussolini, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Contrario all’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nel 1941 aderì al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d’Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri.

Fu membro della Consulta nazionale, della Costituente e della Camera dei Deputati e si batté sempre per un rinnovamento morale e civile della vita politica italiana.

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A proposito di scuola: l’ipotesi di Calamandrei

“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, a Roma l’11 febbraio 1950.

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