Canova, l’ideale classico tra scultura e pittura

Dal 25 gennaio al 21 giugno si svolge a Forlì nei musei di San Domenico una mostra dal titolo “Canova, l’ideale classico tra pittura e scultura”. Questa mostra è sicuramente importante perché è la più completa esposizione sino ad oggi dedicata al maestro veneto. Attraverso una serie di capolavori esemplari, l’esposizione ripercorre l’intera carriera del Canova, ponendo per la prima volta a confronto le sue opere (marmi, gessi, bassorilievi, bozzetti, dipinti e disegni), oltre che con i modelli antichi cui si è ispirato, anche con i dipinti di artisti a lui contemporanei con i quali si è confrontato. La scultura è una costante della vita di quest’artista; infatti egli nacque a Possagno (TV) il 1° novembre 1757 in una famiglia in cui da generazioni  si lavorava e si scolpiva la pietra.

Dopo la morte del padre e il secondo matrimonio della madre viene affidato al nonno che gli insegna il mestiere di scalpellino. Fin da giovanissimo, egli dimostrò una naturale inclinazione alla scultura: eseguiva piccole opere con l’argilla. Si racconta che, all’età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale bravura che tutti gli invitati ne rimasero meravigliati; il padrone di casa, il Senatore Giovanni Falier, intuì la capacità artistica di Antonio Canova e lo volle avviare allo studio e alla formazione professionale. Grazie a Falier infatti ottiene a Venezia le prime commissioni che gli permettono poi di compiere nel 1779 il decisivo viaggio a Roma, città in cui si stabilì definitivamente nel 1793.

A Venezia e Roma cresce la passione di Canova per l’arte antica a cui si ispirerà nelle sue opere, in piena conformità con il pensiero del Neoclassicismo diffuso in quel periodo. Altra cosa importante da sottolineare è il luogo dove si svolge la mostra: non in molti sanno che Forlì è stato uno dei luoghi fondamentali per Canova e, in generale, per il neoclassico in pittura e scultura, e per la città l’artista creò tre capolavori.

Tra questi in mostra c’è una versione di Ebe, realizzata tra il 1816 e il 1817, per la contessa Veronica Guarini, che sarà messa a confronto con l’altra versione appartenuta all’imperatrice Giuseppina moglie di Napoleone, dove Ebe è rappresentata su una nuvola.

In questa scultura, come era solito fare, Canova adopera il marmo bianco che riesce a rendere armonioso, modellandolo con plasticità e grazia, finezza e leggerezza. La figura sembra quasi avere un proprio movimento, vivere nella sua  immobilità. Fondamentale è il tocco “dell’ultima mano”, dove l’artista apporta le decisive modifiche. Una caratteristica particolare del suo talento è la levigatura delle opere, sempre raffinata al massimo, grazie alla quale i suoi lavori hanno uno speciale effetto di lucentezza che ne accentua la naturale e splendida bellezza; inoltre aveva l’abitudine di spalmare sull’intera superficie epidermica una speciale patina. Il composto doveva essere formato da una mistura di pietra pomice, da una tintura giallognola o, fuliggine o “pura cera e acqua elaborata dallo speziale” o “acqua di rota” (cioè acqua sporca dall’arrotamento di strumenti metallici). Lo scopo era quello di anticipare gli effetti del tempo “il quale sovente dà alle opere quell’accordo e quell’armonia che l’arte può difficilmente imitare”. Osservando le opere di questo artista non possiamo che ripetere che incarna perfettamente l’ideale che Winckelmann riconosceva alla scultura greca: “la nobile semplicità e la serena grandezza”.

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