Editoriali Archivi

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Calamandrei, chi era costui?

Piero Calamandrei nasce a Firenze il 21 Aprile 1889 dove muore il 27 Settembre 1956.

Dopo la laurea in giurisprudenza, divenne professore di procedura civile in varie università: Messina, Modena, Reggio Emilia, Siena e Firenze. Prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale volontario. Lasciò l’esercito per continuare la sua carriera accademica. Della sua vasta produzione giuridica si ricorda soprattutto “Introduzione allo studio delle misure cautelari” del 1936, un trattato d’avanguardia che farà compiere un grande balzo in avanti alla scienza processuale italiana.

Politicamente impegnato a sinistra, partecipò con Dino Vanucci, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli alla direzione di “Italia Libera”, un gruppo clandestino di ispirazione azionista. Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura di Mussolini, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Contrario all’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nel 1941 aderì al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d’Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri.

Fu membro della Consulta nazionale, della Costituente e della Camera dei Deputati e si batté sempre per un rinnovamento morale e civile della vita politica italiana.

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A proposito di scuola: l’ipotesi di Calamandrei

“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, a Roma l’11 febbraio 1950.

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Nichilismo e speranza: riflessione sui giovani

Con il termine nichilismo, dal latino nihil cioè nulla, viene inteso solitamente l’atteggiamento, o la dottrina, che nega in modo definitivo l’esistenza di qualsiasi valore in sé e l’esistenza di una qualsiasi realtà oggettiva.
Si tratta di un atteggiamento che ha attraversato la storia dell’umanità, dai Greci (con Gorgia) fino ai giorni nostri (Heidegger, E. Severino) e che ha assunto nei secoli forme diverse e contestualizzate allo spirito di ogni epoca.
Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie al nichilismo russo che si espresse prevalentemente in forma narrativa anziché concettuale, il termine divenne di uso comune. A dargli il nome fu lo scrittore I. S. Turgenev, l’autore di “Padri e figli” (1862).
Da qui il nichilismo esce dall’ambito propriamente filosofico e incomincia a contaminare il pensiero sociale e politico francese e tedesco, ad animare l’anarchismo e il populismo del pensiero russo, proclama, con Nietzsche, la morte di Dio e apre alla cultura della crisi connotata da relativismo, scetticismo e disincanto.
Il nichilismo, l’ospite inquietante che è entrato nelle nostre case e che fatichiamo a riconoscere, si aggira tra i giovani, “penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca le loro anime, intristisce le passioni rendendole esangui” (U. Galimberti).

Genericamente parliamo, leggiamo e ascoltiamo di disagio giovanile: quasi un luogo comune percepito nella nostra società senile come un rimbrotto paternalistico e comunque limitato alla sfera esistenziale. Ma il disagio non è esistenziale, bensì culturale: Dio è morto e con lui la visione ottimistica della storia che vedeva il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza.
La cultura occidentale, abbandonata la visione pessimistica degli antichi greci e abbracciata la tradizione giudaico – cristiana, ha guardato al futuro sorretta dalla convinzione che la storia dell’umanità è una storia di progresso e quindi di salvezza. Ma anche l’omologa moderna della triade male – redenzione – salvezza e cioè scienza – utopia – rivoluzione ha mancato la promessa. Disuguaglianze sociali sempre più evidenti, disastri economici, inquinamenti di ogni tipo, comparsa di nuove malattie, intolleranze e fanatismi, pratica abituale della guerra testimoniano il venir meno della promessa.

La positività della tradizione giudaico – cristiana è stata sostituita dalla negatività di un tempo inconsapevole, dominato da una casualità senza direzione e orientamento, medioevo tecnologico popolato da imbonitori televisivi, alchimisti finanziari che promettono elisir di lungo profitto, predicatori che arringano le anonime moltitudini che non hanno saputo riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa delle classi sociali e ormai occupato da oligarchie corporative.
La mancanza di senso, di fine e di scopo ha ridotto l’orizzonte a un deserto pietrificato dove dominano i miraggi. Così la nostra società contemporanea è pervasa dalla tristezza diffusa e percorsa dal sentimento permanente della precarietà e dell’insicurezza.
Il futuro come promessa è scomparso e questo determina l’arresto del desiderio al presente. Con il rischio che, negli adolescenti, non si verifichi più il naturale passaggio dall’amore di sé all’investimento sugli altri e sul mondo con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali.
Genitori e insegnanti sono disorientati perché la mancanza del futuro come promessa li priva dell’autorità di indicare la strada.

Questa circostanza induce l’instaurarsi di un rapporto contrattuale, quindi egualitario, fra genitori e figli, insegnanti e allievi. Ma questa relazione è lungi dall’essere paritaria perché priva l’adolescente dei riferimenti necessari a contenere, con equilibrio, le proprie pulsioni e l’ansia che ne deriva.

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Agli elettori mancini!

Consigli utili: come sopravvivere a B&B

(Riportiamo alcuni suggerimenti sintetici del giornalista Roberto Cotroneo ai delusi del 15 aprile da qui fino al 2013.)

  1. Evitare le trasmissioni televisive politiche.
  2. Darsi un’anima internazionale evitando con cura le prime tre pagine di qualsiasi quotidiano e i primi 15 minuti dei telegiornali.
  3. Pensare il meno possibile.
  4. Evitare le vacanze in luoghi amministrati dal centro sinistra e dal centro destra; meglio starsene a casa.
  5. Molta natura: la natura funziona sempre, e soprattutto non l’ha inventata Berlusconi.
  6. Evitare le passeggiate per la pianura padana, lungo il Po e la Costa Smeralda.
  7. Trovarsi un hobby o uno sport non attinente con la cronaca politica. Per chi non riesce a fare a meno di pensarci a B&B, potrebbero andar bene gli scacchi, la dama o i videogiochi.
  8. Allontanarsi il più possibile dalla contemporaneità. Non leggere saggi sull’Italia di oggi. Darsi alla letteratura. Imparare a ballare; per i balli di coppia scegliere partners che non siano di sinistra.
  9. Iscriversi a una stagione di concerti rigorosamente di musica classica; meglio la musica barocca che ti fa illudere di vivere in un Paese migliore.
  10. Per chi è single, trovarsi un fidanzato o una fidanzata, meglio stranieri, perché non pensano troppo a Berlusconi e non sanno chi siano Bossi o Maroni.
  11. Niente cultura. Leggere libri certo.  Meglio non frequentare presentazioni di testi impegnati, cineforum, teatro sperimentale. Finisce che ti senti di nicchia.
  12. Attendere con pazienza; non c’è altra possibilità. Ascoltare la radio di notte. E’ raro che a quell’ora telefoni Berlusconi. Provare a sorridere, nonostante tutto.

da “l’Unità” del 16 aprile 2008

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(Riportiamo alcuni suggerimenti sintetici del giornalista Roberto Cotroneo ai delusi del 15 Aprile da qui fino al 2013.)

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Pensiamoci su!

Ho letto, su un settimanale, un interessante articolo di Maria Grazia Meda, che affronta il discorso della responsabilità personale, così come è avvertito oggi, in particolare in Italia e in America, ed il quadro che ne esce è preoccupante e desolante insieme, confermato da quanto noi viviamo nella quotidianità.

“Fumo? Colpa dell’industria del tabacco. Ingrasso? Colpa del fast food. Non studio? Colpa del prof. Psicologi e sociologi lanciano l’allarme. Si sta affermando una cultura dove nessuno si assume più responsabilità”.

Questa la tesi fatta propria dalla giornalista, che cita, sull’argomento, tutta una serie di studi di autorevoli studiosi, tra i quali François Ewald, docente al Conservatoire national des arts et metiers, che sottolinea come nella società globalizzata, con le sue interdipendenze di merci, uomini, informazioni che circolano liberamente, “le decisioni e le responsabilità siano atomizzate e sia lasciato all’individuo un margine d’azione e quindi di responsabilità ridotte…”.

Nasce da qui una sensazione di impotenza, di inadeguatezza a fronteggiare una realtà così complessa che finisce per spingerci a limitare al massimo il rischio o addirittura ad eliminarlo, il che è, continua la giornalista, citando Miguel Benasayag, autore di “Utopia e libertà”, pericolosamente illusorio, perché una vita senza rischi è impossibile. E immaginare che lo sia, pur nella sua impossibilità, ha conseguenze nefaste: aumentano la violenza, l’intolleranza, la depressione e la paura.” È la fotografia del momento che stiamo vivendo!

La Meda indica poi questo rifiuto della corresponsabilità come una “nuova malattia sociale che si manifesta dall’infanzia, quando ogni persona deve essere protetta da tutto” con il risultato che questi ragazzi, non abituati a prendersi le loro responsabilità , diventeranno, da grandi, “fragili e insicuri”.

Che fare? Non abbiamo certo noi la ricetta sicura, ma si potrebbe incominciare con il ripensare, prima di tutto, ai nostri comportamenti di adulti: non limitarci ad essere meri esecutori di ordini, (button pushing, come si dice nel linguaggio tecnologico), responsabili solo nei confronti di un superiore, ma prendere delle decisioni, assumendosene rischi e responsabilità, e nell’ambito della sfera personale, educativa, sociale; insistere nuovamente sul binomio indissolubile diritti-doveri, o meglio, come dice Michele Serra, “desideri e il loro limite”; accettare la sfida di questa scelta e attendere, pazientemente ma non fatalisticamente, i risultati.

da “Gioventù a rischio zero” di Maria Grazia Meda, L’Espresso n°49 del 13/12/2007

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D’un tratto…

In genere in queste poche righe, cerco di riflettere su qualche tema o di carattere generale o di vita interna dell’Associazione, questa volta invece voglio occupare questo spazio per condividere con voi un’emozione profonda e intensa che ho provato incontrando, in occasioni diverse due persone, lo scrittore israeliano Amos Oz ed un prete, Pierluigi Di Piazza, fondatore ed anima del Centro d’accoglienza e promozione culturale “E. Balducci” di Zugliano (Udine).

Due persone distanti geograficamente tra loro – uno, ebreo d’Israele, l’altro friulano -culturalmente e per formazione; uno laico, non religioso, l’altro prete (che rifiuta peraltro l’etichetta di “funzionario del sacro”) ed operatore sociale, ma uniti da un convinto e sentito “I care” (mi riguarda). Entrambi sono impegnati a dare il loro contributo per una soluzione concreta, realistica e possibile ai “drammi delle persone e dei popoli” siano essi ebrei e palestinesi per il primo, o tutti i diseredati del mondo per il secondo.

Un compito impegnativo, vissuto e partecipato da tutti e due, in modo diretto, semplice, credibile, senza nascondersi e nasconderci difficoltà e perseguito con modalità a tratti simili; essenzialmente la parola per l’uno e l’altro, la parola e l’accoglienza per il secondo, e a volte diverse: accettazione del “compromesso”, inteso in senso alto come capacità di adeguarsi al reale, alla vita (il contrario di compromesso è per lui fanatismo, morte), per risolvere la questione israelo-palestinese, per Oz; intransigenza ferma, non nei confronti delle persone, ma sui principi, sulla scelta delle soluzioni per Di Piazza, perché una sola può essere la strada da percorrere se ci si vuol mettere dalla parte dei diseredati.

Mi fermo qui, con queste brevi annotazioni perché non vorrei togliervi il piacere della scoperta, e che scoperta!

Aggiungo solo due suggerimenti di letture per facilitarvi nella vostra ricerca:

  • AMOS OZ – “Contro il fanatismo” – Feltrinelli;
  • GIANLUIGI DI PIAZZA – “Nel cuore dell’umanità – storia di un percorso” – Centro di accoglienza e di promozione culturale “E. Balducci” – Editrice
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Di muri e viaggi

Avevo deciso, già da un po’ di tempo, che in questo spazio avrei parlato di muri, metaforici naturalmente, da abbattere per cercare di leggere ed interpretare, fuori da schematismi, in modo più aperto e libero tutto ciò che  ci accade attorno. A questo punto, il pensiero va immediatamente, per analogia, al muro di Berlino la cui caduta, nel 1989, ha inaugurato una stagione di speranze di rinnovamento che non sono però durate molto, perché dinanzi alla complessità della nuova realtà che si è andata delineando, non più divisibile nettamente in due, molti hanno trovato più comodo erigere nuove barriere, mentali questa volta, piuttosto che tentare di adottare nuovi metri di giudizio. Mentre riflettevo su questo aspetto e cercavo di elaborarlo in modo più compiuto, mi sono imbattuta in un’altra parola, altamente evocativa, viaggio, ed ho pensato che i due termini, apparentemente antitetici, potevano servire ottimamente a sviluppare un ragionamento, che poteva diventare programmatico per la nostra associazione e per tutte le altre consimili, che si definiscono culturali. Una volta abbattuti i muri, bisogna, ho pensato, intraprendere un viaggio, metaforico anche questo naturalmente, dentro di sé e fuori di sé, alla ricerca di motivazioni e significati autentici e nuovi che ci aiutino a comprendere una realtà che cambia velocissimamente e che pone problemi ed interrogativi mai incontrati prima. In questa prospettiva muro-viaggio non esistono più argomenti tabù, che non possono essere affrontati e discussi e, se non ci sono più comode e facili certezze, c’è una ricchezza di opinioni e punti di vista stimolanti e vitali.
Certamente questo, che ho delineato, è un percorso faticoso ma necessario, da tener presente se si vuole uscire dall’impasse in cui spesso ci si imbatte nell’analizzare i fenomeni contradditori e complessi di questa nostra epoca. Per concludere, questa nostra riflessione vuole diventare, in questo momento dell’anno aperto ai programmi e ai propositi, un augurio e un pungolo per tutti, noi compresi.

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La rubrica dei “perché”, giugno 2006

  • Perché l’Amministrazione locale non ha ancora redatto un regolamento che disciplini l’utilizzo delle strutture e degli spazi pubblici da parte delle varie associazioni comunali, negandone l’uso senza fondate motivazioni?
  • Perché l’Amministrazione locale continua a privilegiare le opere pubbliche (non sempre utili) e non i servizi alle persone? (Es. Centro comunale per anziani, servizio mensa alle persone in difficoltà)?
  • Perché gran parte dei segnali stradali delle strade comunali, soprattutto quelli di pericolo, sono fatiscenti?
  • Perché il “Gruaro Oggi”, foglio d’informazione, cultura e tradizioni locali, finanziato con il denaro pubblico, nei fatti è l’organo d’informazione della maggioranza politica che amministra il Comune? Dov’è la pluralità e la completezza dell’informazione?
  • Perché la rotatoria di Malcanton è contestata in maniera rabbiosa e decisa da un consigliere di maggioranza della Regione? Il progetto, finanziato anche dai fondi regionali, non è stato oggetto di decisione comune condivisa?
  • Perché non si rende noto alla popolazione il costo dell’inaugurazione delle  ultime due opere pubbliche, visto che si parla di tagli alle spese e si lamenta la scarsità di risorse finanziarie degli enti locali?

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Lettera aperta al Sindaco di Gruaro (o della concessione degli spazi pubblici)

Egregio signor Sindaco,

siamo l’Associazione culturale “La Ruota” di Gruaro, che lei già conosce, e con la presente vogliamo segnalare una situazione incresciosa, che si è verificata più volte, quando ci siamo rivolti a lei, o all’assessore competente, per richiedere uno spazio, nella fattispecie la sala consiliare o villa Ronzani, per le nostre manifestazioni più significative. Forse abbiamo sbagliato nel redigere la domanda: sarebbe stato più giusto chiamare la prima, sala polifunzionale, perchè così è denominata nella targa apposta all’ingresso; forse se così avessimo fatto, ribadendo questa natura, sarebbe stato più facile averla?

A volte, a giustificazione della non concessione, ci è stato detto che la suddetta sala non può essere data in uso ad una associazione più di una volta all’anno, ma questa non ci sembra una risposta convincente, perchè, senza togliere niente a nessuno e riconoscendo la valenza di ogni forma di associazionismo, le finalità sono diverse e se una associazione culturale come la nostra, si presenta al pubblico ogni 365 giorni, può chiudere. A sostegno di quanto detto e per non correre il rischio di apparire dei millantatori, vogliamo ricordare qui di seguito, sinteticamente, le nostre attività, quelle messe in atto in questo secondo anno di vita dell’associazione, che sono state molteplici e che sono andate dagli incontri con esperti su temi di largo interesse, come alimentazione, questione medio-orientale, riforme istituzionali; alla presentazione, con la partecipazione degli autori, di libri; alla lettura scenica di testi letterari; a laboratori di scrittura creativa e di decodifica del linguaggio fotografico.

Per quanto riguarda Villa Ronzani poi, non ci è mai stata data una spiegazione della risposta negativa e allora viene spontaneo porsi delle domande:

  • Il veto è automaticamente esteso all’una e all’altra sede?
  • Non é staticamente sicura?
  • E’ stata già concessa in esclusiva ad altre associazioni?

Tanti interrogativi…e le risposte? Riconosciamo che ci è stata data più volte la possibilità di usufruire della Sala della associazioni, ma essa, vista la sua ridotta capienza, non è sempre adatta allo scopo che ci prefiggiamo con le nostre iniziative: raggiungere il maggior numero possibile di persone.

Cercando di tirare le fila, signor Sindaco, ricordato che, quelle di cui si parla, sono strutture pubbliche, destinate per loro natura ad accoglier i cittadini, nella duplice veste di spettatori e di protagonisti, e che all’amministrazione compete il ruolo di custodire il bene in oggetto e di regolamentarne l’accesso, non chiediamo trattamenti di favore, privilegi, ma semplicemente la certezza della regola; secondo noi, sarebbe tutto più facile se ci fosse un regolamento scritto, con norme fissate e valide per tutti (perchè siamo convinti, come Socrate, che sia preferibile una legge anche imperfetta a nessuna legge) ed è questo, in definitiva, che le chiediamo di fare: redigere ed attivare un regolamento.

Inoltre, signor Sindaco, ci piacerebbe che le nostre richieste avessero una risposta scritta, perchè così non si corre il rischio di equivocare. Concludendo, le facciamo una proposta: perchè non incominciare subito, rispondendo a queste nostre domande?

In attesa che ciò avvenga, le porgiamo i nostri saluti.

Associazione culturale “La Ruota”

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La rubrica dei “perché”, marzo 2006

La piazza è notoriamente un luogo sociale d’incontri e relazioni che coinvolge l’intera comunità di un paese; essa perciò dovrebbe rispondere alle esigenze e alle richieste dei suoi abitanti.

  • Perché il progetto di riqualificazione della piazza Egidio Dal Ben di Gruaro non è stato presentato e discusso con la cittadinanza?
  • Perché non si è tenuto conto della viabilità, in tutta sicurezza, di pedoni e ciclisti?
  • Perché i bordi della piazza, lungo la strada provinciale, sono pericolosamente alti?
  • Perché il passaggio pedonale in via Roma (angolo casa Toneatti) è situato una posizione pericolosa e finisce su un gradino che costituisce una barriera per i diversamente abili e per le persone anziane?
  • Perché l’accesso al parcheggio è posto nelle vicinanze di una curva?
  • Perché i punti luce, nella stessa piazza sono cosi numerosi in tempi di crisi energetica?
  • Perché rispetto il problema dell’influenza aviaria da virus H5N1, l’amministrazione comunale non ha prodotto l’ordinanza riguardante anche i grandi allevamenti esistenti nel nostro Comune? Quali gli interventi? Quali i controlli?
  • Perché non si porta a conoscenza dei cittadini la situazione e riscontri eventualmente effettuati?

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