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Uzbekistan

Molti, sentendo che sono andato in Uzbekistan, mi chiedono incuriositi il perché di una meta così insolita, poco nota al grande pubblico.
Questa domanda mi costringe ad una rapida riflessione per mettere a fuoco le varie motivazioni che mi hanno spinto ad una tale scelta e, dopo aver pensato di citare, tra il serio ed il faceto, come prima scintilla della mia curiosità, la canzone “Samarcanda” di Vecchioni, arrivo sempre alla conclusione che ciò che mi attira di un luogo e di un popolo è il suo passato, la sua storia e le tracce che essa ha lasciato nel presente e che, a questo proposito, l’Uzbekistan aveva molto da offrirmi.

Questo paese, situato nell’Asia centrale, ad est del Mar Caspio, confinante con l’Afghanistan ed il Tian Shan cinese, è stato uno snodo importante della Via della seta che collegava, nel Medioevo, il Vecchio mondo e l’Oriente ed è stato percorso dai mercanti delle più svariate nazionalità e dal nostro Marco Polo, nel suo viaggio di andata verso la Cina. Il paese fu  conquistato da Gengis Khan, il grande imperatore mongolo (1167-1227), e da Sarmarcanda, la città più nota dell’Uzbekistan, partì Tamerlano (1336-1405) discendente del primo, per la conquista della Russia meridionale, della Turchia, dell’Iran, dell’India. Nella città uzbeka si trova il mausoleo del grande conquistatore.
In tempi più recenti, l’Uzbekistan è entrato a far parte dell’Impero zarista e poi dell’URSS, da cui si staccò nel 1992, diventando una repubblica presidenziale con caratteristiche dittatoriali (le prime elezioni “libere” risalgono al 2007).

Il passato più remoto e grandioso e quello più recente, sovietico, convivono, ma è certamente il primo a prevalere e ad affascinare il visitatore, anche se è più leggibile e tangibile in centri come Bukara e Khiva, che a Samarcanda, la località più nota, dove è visibile ancora solo nella piazza principale, Registan, abbracciata da moschee e madrase (scuole coraniche); il resto della città conserva l’impronta dell’architettura dei paesi del socialismo reale, con spazi ampi e palazzoni squadrati. Per avere uno spaccato di vita quotidiana e reale, basta visitare i numerosi mercati, con la loro esplosione di merci e colori ed in particolare, sempre a Samarcanda, quello della frutta, il più antico di tutta l’Asia; qui ci si imbatte in gente cordiale e curiosa, simpaticamente attratta da ciò che è inconsueto e nuovo, come, nella fattispecie, una ragazza di colore del nostro gruppo che ha catalizzato su di sé molti sguardi. Questo atteggiamento è frutto dell’isolamento in cui il paese è vissuto per tanto tempo e che l’apertura al turismo comincia ad intaccare.

Il ritmo della vita scorre lento, a misura d’uomo, e non è raro anche in città, accanto alle automobili, Fiat e Daewoo, veder passare degli asini.
La giornata lavorativa e la vita sociale sono scandite dal corso del sole per cui, alle 21, le città sono pressoché deserte e buie, secondo una consuetudine tipica delle comunità preindustriali; del resto l’agricoltura, imperniata soprattutto sulla coltivazione del cotone, è ancora l’attività principale del paese e, al momento della raccolta, scendono in campo non solo i contadini, ma anche studenti e professori, come nel caso della nostra guida.