“Il gioiellino” di Andrea Molaioli

Ed è proprio da questo punto che partirei per criticare il secondo ambito del film, quello più politico.
Se l’intendimento, come dichiarato da Molaioli, era infatti quello di criticare un sistema capitalistico che permette tali immense truffe e storture, che accetta mostri come quelli che dirigevano  la Parmalat, che scarica i costi di tale dissenatezza sulla società tutta nel suo insieme e che salva i complici di questa lucida follia (le banche ed il sistema finanziario), secondo me raggiunge solo parzialmente lo scopo che si prefiggeva.

L’eccessiva insistenza, infatti, sulle molteplici sfaccettature caratteriali, sui disperati tentativi di rimandare l’inevitabile fallimento(3), sulle sorti dei protagonisti, in maniera forse un po’ perversa tende ad umanizzarli più del dovuto. Un’oltremodo realistica, ma finanche pietistica, visione degli aspetti più disturbati della loro personalità, arroganza ed iniquità, per reazione rischia di renderli anche un po’ simpatici.
Tale umanizzazione sminuisce la portata di quel che è accaduto ed attribuendo ad un delirio di onnipotenza od alla presunzione morale di essere al di sopra della legge la lucidità dello schema delittuoso, di fatto un po’ lo ammorbidisce.

Manca nel film una chiara condanna dei dirigenti capaci presenti nell’azienda, complici del sistema, che si trasformano presto in ladri o suicidi.
Manca nel film una chiara condanna delle banche e casse di risparmio che non lesinano a vendere titoli spazzatura agli ignavi risparmiatori, senza informarli dei rischi e voci che gravano su quelle obbligazioni.
Manca nel film una chiara condanna delle agenzie di rating statunitensi, che vendono la valutazione delle obbligazioni stesse.

Infine è per me ancora più drammatica l’assenza dei veri “esterni” della Parmalat, che non sono le banche d’affari, i politi collusi e “coltivati”, i finanzieri corrotti o i figli di papà del mondo del calcio, ma quelli disinteressati: gli ex lavoratori dell’azienda, i risparmiatori incompetenti, i semplici cittadini che di questa azienda ignoravano le storture (peraltro più volte pubblicamente denunciate, ma regolarmente ignorate, da Beppe Grillo e pochi altri).

Insomma, imputo a Molaioli l’assenza di uno spirito sociale, di uno slancio di ribellione, che non si può limitare ad un breve accenno sui titoli di coda alle operazioni finanziarie, come se la finanza fosse un male in sè e non per l’uso che se ne può fare.
Le belle scene di distruzione dei libri contabili, il grottesco piano di salvataggio stilato da Tonna a commissariamento in corso, il riferimento nostalgico ai bei anni passati non suscitano tanto l’indignazione dello spettatore, quanto lo abbandonano in un senso di inesorabile e tragico scoramento.

Ed è questo ciò che più contesto politicamente al film di Molaioli: un’ingiustificata mancanza di coraggio.

Note:

(1) nei due filoni dell’inchiesta, il ragionier Tanzi è stato condannato in appello a 10 anni di carcere per aggiotaggio e a 18 anni in primo grado per bancarotta fraudolenta;

(2) di questi giorni la notizia dell’interessamento all’acquisto da parte della francese Lactalis, salita al 29% del capitale azionario.

(3) che poi nemmeno è avvenuto, per la famosa legge Marzano-Prodi sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, D.lgs. n. 270/1999.

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