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Non solo calcio…

Seguo il ciclismo fin da piccolo, anche se non disdegnavo, se mi si presentava l’occasione, di tirare quattro calci al pallone, ma il ciclismo era sempre un’altra cosa che occupava tutti i miei pensieri e mi appassionava veramente, basti pensare che è dal 1975 che non perdo, come spettatore, un Campionato del mondo di ciclismo, un Tour, un Giro d’Italia, una Vuelta e così via.

Quando vedevo i corridori professionisti, o anche i dilettanti, anch’io avrei voluto inforcare una bicicletta da corsa, ma non me lo potevo permettere, mi limitavo a guardare e a sognare, ma quando ho avuto tra le mani il primo stipendio, guadagnato facendo la stagione, non ci ho pensato su due volte e mi sono comperato, una Iride, una bici da corsa, di cui conservo ancora alcuni pezzi. Ciò che mi attira in questo sport, che pratico a livello amatoriale (sono membro della Società ciclistica portogruarese), non è tanto la gara, il confronto con gli altri, ma è la sfida con me stesso, il fare ogni volta qualcosa in più, ma non per affermarmi, ma per conoscermi meglio. A me piacciono infatti tutti gli sport che io chiamo “di fondo”, che richiedono sforzo, costanza, carattere e applicazione, per cui, accanto al ciclismo, sento attrazione, una grande attrazione, per la maratona, per lo sci di fondo. Sarà per questo che sono stato contagiato, come i più del resto, dalla “malattia della salita”, per cui, ogni anno, in questo ambito, mi prefiggo delle mete nuove; quest’anno dovrebbe essere la volta del Grossglokner e del nuovo versante dello Zoncolan. Tutte queste prove le affronto, in genere, con un amico che condivide con me passione e valutazioni su questa disciplina sportiva.

Ho già fatto delle salite impegnative, come quelle dello Stelvio e del Gavia e qui, oltre al piacere dell’impresa, vista come superamento dei propri limiti, sono stato catturato dalla grandiosità  della cornice naturale, dal silenzio, dalla storia che mi sembrava di toccare in quei luoghi (spesso mi ritrovavo a pensare che di lì era passato Coppi, uno dei miei corridori preferiti). Sempre per rimanere fedele al mio motto “è la fatica che fa bello lo sport”, ho partecipato, per 7 anni di seguito, alla Maratona delle Dolomiti, che tocca 7 passi dolomitici, come il Pordoi, il Gardena, il Giau, conquistando, alla 6° volta, un buon piazzamento, ma quando mi sono accorto che più che il piacere di partecipare, prendeva il sopravvento, nei concorrenti, la gara e l’ansia del risultato, non vi ho più preso parte. Non solo non sono attratto dalla competizione, ma neanche dalla velocità, perchè non mi sembra sia questa la filosofia e l’essenza di questo sport.

Quando posso, cerco di seguire, dal vivo, come spettatore, una tappa del Giro d’Italia, una tappa di montagna naturalmente, perchè, oltre che vedere da vicino i miei beniamini, trovo particolarmente coinvolgente e bella l’atmosfera che si crea, il cameratismo che nasce tra gli spettatori, il senso di appartenenza che unisce i presenti. Anche quest’anno ho fatto questa esperienza ed ho seguito la tappa del passo S. Pellegrino: indimenticabile! Il mondo del ciclismo, spero di non apparire troppo ingenuo, mi sembra più semplice, più genuino, meno artefatto di quello di altri sport, tuttavia prendo le mie cautele, per cui quando mi chiedono qual è o quali sono i miei corridori preferiti, rispondo di slancio “Indurain, Basso, Cunego, Bettini, che io trovo solare”, salvo poi aggiungere “con  beneficio del dubbio…”. Tra quelli del passato, oltre a Coppi, già citato e che considero un grande, apprezzo molto Moser e Hinaut. Volendo trarre delle conclusioni, io trovo questo sport completo e coinvolgente e adatto ai più, capace di darti ed insegnarti molto, se si accettano i propri limiti e si tralasciano, lasciandoli ai professionisti, gli aspetti più esasperati di agonismo.

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Mirco Stefanon

Le Baruffe Chiozzotte

Prima di salire
Sull’altare
Le dissi:
Sei così bella
Così carina
Che ti mangerei viva

Oggi
Mi pento
Di non averlo fatto

Quando lei
mi lasciò
Non la buttai sul patetico
La buttai
Dalla finestra

da “La posta in gioco” – Nuova Dimensione

Un Tecnico

Non avrei mai immaginato
Di ritrovarmi da solo con lei
Al buio
E nel silenzio più assoluto
A rubarci la stessa aria.
All’improvviso
Lei mi getta le braccia al collo
E mi sussurra piano
Di restare così
Per l’eternità.
Stavo per risponderle di sì
Quando mi salvò
un tecnico
Riparando il guasto
All’ascensore.

da “Chiuso per restauro” – Biblioteca Cominiana

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La periartrite scapolo-omerale

La periartitrite scapolo-omerale è una malattia complessa, che si manifesta sotto diversi aspetti dal più subdolo ed insidioso dolore, alla crisi acuta che strappa urli al più feroce dei legionari.

Sarebbe più esatto chiamare questa patologia “sindrome spalla – mano”, primo perché questa definizione descrive bene la distribuzione del dolore, che può sia limitarsi alla sola spalla, sia irradiarsi fino alla punta delle dita; secondo, perchè nonostante la sua prima denominazione, non è per niente un’artrite bensì una infiammazione dei tessuti molli (e non delle ossa) che circondano la spalla, e che va dalla tendinite di vari muscoli alla capsula sinoviale, che avvolge l’articolazione della spalla. La periartrite, malattia subdola, inizia sempre con un dolore leggero, magari qualche fitta, che appare sopportabile, però, di notte lo stesso dolore permane e, anzi, diventa spesso una tortura. La persona fa sempre più fatica ad alzare il braccio. Si installa così un circolo vizioso: la persona  ha paura  di muovere il braccio e, aumentando l’immobilità, aumenta il dolore.

Purtroppo, con la somministrazione di un antinifiammatorio, il dolore può tornare  ad essere sopportabile e ciò fa sì che la persona si trascini per settimane, peggio per mesi, con un’alternanza logorante di sedazione e di episodi dolorosi. Entra in gioco il medico per la seconda volta per ordinare o “infliggere” la solita infiltrazione  di cortisone; gran sollievo per  uno, due, o tre giorni e dopo  avanti di nuovo con l’inferno, che può trasformarsi in “banchisa” con una spalla cosiddetta “congelata”, ossia paralizzata, che rende necessario lo sblocco sotto anestesia.

Cosa fare? Dunque prima di tutto bisogna avere subito la diagnosi corretta e capire da cosa è stata causata la malattia: nel 60/70 % dei casi la causa è psico – somatica (stress, paura, perdita di un caro, bocciatura agli esami, angoscia per il lavoro, abbandono amoroso, problemi con i figli . etc.). Il resto  è conseguenza di traumi, incidenti, lavori non abituali; dopo la diagnosi è opportuno eseguire una cura a base di movimenti precisi di ginnastica specifica, passiva, detta di Sohier, ad opera  del terapista.
Lo scopo di questo intervento è quello di rompere il circolo vizioso dell’immobilità. In parallelo, bisogna applicare l’elettroterapia e quella del freddo, perlomeno in fase acuta.

A questo proposito, è da sottolineare che la PSO è una malattia che si cura soprattutto in fase acuta, aspettare è assolutamente controindicato. Quanto alle infiltrazioni, tutti sanno che decalcificano le ossa, rendono fragili i tendini e mettendo pericolosamente a riposo le ghiandole surrenali. Esse infatti possono non funzionare più adeguatamente dopo ripetute cure di cortisonici. Una periartrite, anche dolorosissima, presa in tempo, può svanire in una sola seduta, essa si risolve nel 99% dei casi, con quanto descritto, ma a condizione di non aspettare  troppo a lungo e di non limitarsi ad ingerire carriolate di farmaci. Sono 25 anni che predico questo iter, evidentemente in un deserto dove emergono solo le case farmaceutiche.

Dr. Claude Andreini, Fisioterapista

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“Uniti per Gruaro”, sul bilancio di previsione 2006

Il gruppo consiliare comunale di centrosinistra “Uniti per Gruaro” ringrazia l’associazione culturale “La Ruota” per lo spazio concessogli nella sua pubblicazione, per informare i cittadini del Comune sulla posizione politica tenuta in occasione dell’approvazione del bilancio di previsione per l’anno 2006.
Si tratta di un bilancio dove le entrate e le spese complessive pareggiano su 3.608.210 euro.

Il Gruppo, in via preliminare, ha fatto presente che la Relazione della Giunta che lo illustra, non è stata messa a disposizione dei consiglieri, né sull’argomento è stata convocata la conferenza dei capigruppo. Fatta questa premessa, noi consiglieri della minoranza ci siamo soffermati sugli atti preparatori al bilancio assunti dalla Giunta comunale con riferimento:

  • all’imposta ICI: 5,3% per l’abitazione principale, 6,5% per gli altri immobili;
  • all’addizionale IRPEF con limite massimo dello 0,5%;
  • alla TARSU a carico dei cittadini per il 92%;
  • ai proventi per multe fissati ad 85.000 euro;
  • ai servizi a domanda individuale coperti mediamente all’80%;
  • alla mensa scolastica pagata direttamente dalle famiglie.

In altre parole i servizi pubblici vengono sempre più caricati sugli utenti e spogliati quindi della loro funzione sociale.
Per quanto riguarda l’indebitamento del Comune attraverso mutui, si sta raggiungendo la soglia massima consentita, cioè il 12% delle entrate che sarà praticamente quasi raggiunta dopo l’attuazione del nuovo programma di sistemazione ed asfaltatura delle strade comunali per complessivi 581.00 euro riferiti al periodo 2006-2008.

Dopo altre richieste di chiarimenti riguardanti le fognature e la lotta all’evasione fiscale, il gruppo “Uniti per Gruaro”, ha evidenziato come questa Amministrazione continui a privilegiare le opere pubbliche rispetto ai servizi alla persona e come nella programmazione e formazione del bilancio non venga assolutamente coinvolta la minoranza e tanto meno le commissioni peraltro non ancora istituite.
Per le ragioni sopra esposte, il Gruppo ha espresso voto contrario. Il bilancio di previsione per il 2006 è stato pertanto approvato con i soli voti della maggioranza.

Gruppo “Uniti per Gruaro”

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La rubrica dei “perché”, marzo 2006

La piazza è notoriamente un luogo sociale d’incontri e relazioni che coinvolge l’intera comunità di un paese; essa perciò dovrebbe rispondere alle esigenze e alle richieste dei suoi abitanti.

  • Perché il progetto di riqualificazione della piazza Egidio Dal Ben di Gruaro non è stato presentato e discusso con la cittadinanza?
  • Perché non si è tenuto conto della viabilità, in tutta sicurezza, di pedoni e ciclisti?
  • Perché i bordi della piazza, lungo la strada provinciale, sono pericolosamente alti?
  • Perché il passaggio pedonale in via Roma (angolo casa Toneatti) è situato una posizione pericolosa e finisce su un gradino che costituisce una barriera per i diversamente abili e per le persone anziane?
  • Perché l’accesso al parcheggio è posto nelle vicinanze di una curva?
  • Perché i punti luce, nella stessa piazza sono cosi numerosi in tempi di crisi energetica?
  • Perché rispetto il problema dell’influenza aviaria da virus H5N1, l’amministrazione comunale non ha prodotto l’ordinanza riguardante anche i grandi allevamenti esistenti nel nostro Comune? Quali gli interventi? Quali i controlli?
  • Perché non si porta a conoscenza dei cittadini la situazione e riscontri eventualmente effettuati?

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Mostra internazionale di fotografia e scultura

Dal 4 al 26 febbraio 2006 si è svolta alla galleria Ai Molini di Portogruaro la mostra internazionale di scultura e fotografia “La poesia dei manifesti”, opera di Susan Aurinko, e “Ritratti in Oltre Tempo” di Claude Andreini. Quello che unisce l’opera di questi due artisti è il fatto di lavorare su immagini già create da qualcun altro. Susan Aurinko infatti fotografa in bianco e nero dei manifesti sovrapposti e strappati, che si possono trovare in qualsiasi città. In questo modo delle immagini che ormai avevano perso la loro funzione diventano nuovamente vive, ma soprattutto diventano arte. Claude Andreini invece cerca immagini di persone che si sono deteriorate nel tempo. Particolare è il metodo usato, infatti, dopo aver scattato le fotografie in bianco e nero, Andreini sceglie di sovrapporre pigmenti alla foto.

Differenti secondo me le sensazioni che provocano i due artisti con le loro opere. Le fotografie di Susan Aurinko, nonostante le immagini siano a volte forti, danno l’impressione di un riavvicinamentoi al passato; mentre le fotografie di Claude Andreini danno la sensazione di un distacco dal passato, Oltre Tempo appunto. Nella galleria vi sono anche delle sculture di Claude Andreini che rappresentano tartarughe e dinosauri, che vanno a completare, con le loro forme a volte rotondeggianti e a volte più spigolose, la rassegna dei lavori dell’artista. La collocazione della mostra alla galleria “Ai Molini” aiuta con il suo silenzio, o meglio con in sottofondo il  rumore d’acqua che scorre, ad aumentare il fascino di questi lavori.

Claude Andreini

Susan Aurinko

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Il Battistero della Chiesa di San Giusto a Gruaro

Lo scopo di questi miei articoli è quello di far conoscere attraverso le testimonianze artistiche, il nostro territorio e poichè penso sia giusto che ogni persona inizi prima di tutto a conoscere il paese in cui vive, ho pensato di analizzare questa volta la Chiesa di San Giusto a Gruaro e di soffermarmi in particolare sul battistero, manufatto ligneo che racchiude il fonte battesimale. Esso è stato eseguito da artisti della cerchia di Pomponio Amalteo; alla stessa scuola appartengono anche gli affreschi della facciata della chiesa.

La parte centrale del battistero è suddivisa in tre parti.

Quella centrale è occupata da raffigurazioni sacre inserite in ovali, delimitate da decori dorati, ottenuti usando la tecnica della doratura, che consiste nello stendere una preparazione a cui viene fatta aderire una sottilissima lamina d’oro. In ognuno degli ovali sono rappresentate immagini sacre (il S. Giovanni, S. Paolo, S. Pietro e S. Filippo), fra cui spicca il Redentore, posto, come nella maggior parte dei casi, nella parte frontale del manufatto, per dargli maggiore rilievo, raffigurato con una sfera, il mondo, con una croce sopra.

La seconda parte è la fascia che sta sopra le raffigurazioni precedenti e ripropone la stessa decorazione dorata.

Le figure dipinte in questo battistero sono verosimili e di buona fattura e risultano essere in uno spazio indipendente a cui la struttura del battistero fa da cornice.

La terza parte è la copertura, su cui poggia la statua di San Giovanni Battista, non originale.

Spero che queste mie poche informazioni possano suscitare l’interesse di qualcuno su questo battistero che, secondo me, merita attenzione perché è davvero molto bello.

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Scuola dicendo…

Riceviamo e volentieri pubblichiamo…

Dopo aver letto l’articolo apparso sul vostro giornale sulla Riforma Moratti, vorrei esprimere le sensazioni che sto provando come genitore da quando si è cominciato a parlare di questa riforma. Parto dal presupposto che, per me, la scuola, essendo un diritto di tutti, debba essere pubblica. Solo l’istituzione pubblica, infatti, in un paese democratico, è in grado di garantire le stesse prestazioni a tutti, anche se di razza, ceto, religione o credo politico diverso e di aiutare coloro che vivono una situazione di disagio fisico o psicologico.

Questa Riforma, invece, che sottrae risorse alla scuola pubblica e le trasferisce al privato, sta trasformando la scuola in un’impresa che, come tale, deve seguire le leggi del mercato Soltanto chi è naturalmente dotato o chi ha i soldi per potersi comprare l’istruzione potrà progredire; chi è in una situazione di difficoltà, non essendo un investimento redditizio, resterà un cittadino di serie B. Delle tre “I” tanto decantate dalla riforma -Inglese- Informatica- Impresa- quest’ultima mi sembra l’unica realmente riuscita. Le ore di inglese, nella nostra realtà, sono infatti diminuite rispetto al passato e l’informatica si svolge in laboratori dotati spesso di macchine obsolete o addirittura mancanti.

Ma la cosa che più mi preoccupa è il torpore e la rassegnazione con cui la gente sta vivendo questa situazione, senza rendersi conto che una scuola che si basa solo sul profitto e non ha il tempo e la volontà di formare le coscienze trasforma il popolo in una massa pronta ad applaudire al personaggio che meglio sa proporre la sua immagine e incapace di costruire, con le proprie forze, un futuro migliore. Voglio però sperare che le persone che la pensano come me continuino a far sentire la loro voce e che chi ci governa sappia ascoltare ed agire per garantire un’adeguata crescita culturale alle giovani generazioni, nella consapevolezza che è per il bene di tutti.

E parlando di scuola, vorrei concludere con un ringraziamento ad un giovane professore di lettere che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita di studente della scuola media, il quale parlandoci dei valori della pace, della fratellanza e della libertà con le parole delle canzoni di Fabrizio De Andrè mi ha insegnato, oltre che all’italiano e al latino, il rispetto per me stessa e per gli altri.

Lorella Venaruzzo

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“Match Point” di Woody Allen

Non sembra neanche un film di Woody Allen, questo “Match Point”, pur essendo un film profondamente “alleniano”.

Il film è ottimamente diretto ed interpretato, con dialoghi che nella prima parte sfiorano la perfezione tanto son calzanti e con attori perfettamente a loro agio nei panni di borghesi viziatelli o di moderni parvenu senza scrupoli. Il protagonista Chris (Jonathan Rhys Meyers) in particolare è una summa crescente di abilità interpersonali, passioni, nevrosi e varie disturbanze; impressionante per l’interpretazione ma soprattutto per il ruolo: un mix grottesco di attrazione – detrazione che volgerà al chiaro solo in finale d’opera.
Anche le trovate tipiche di Allen permangono e funzionano, ricco com’è il film di citazioni di Dostoevskij (il protagonista legge “Delitto e castigo”) e financo Sofocle (“La sorte migliore per gli uomini sarebbe non essere mai nati”), ma ciò che lo fa differire dalle ultime -bollite- commedie per appassionati è l’atmosfera generale, profondamente cupa e pessimista.

Il senso della vita si riassume nella frase portante di inizio: “La gente ha paura ad ammettere quanto conti la fortuna nella vita”, che viene più volte ripresa nel corso della vicenda e diventa estremamente inquietante per la deriva che l’autore decide di intraprendere nella seconda parte della pellicola, virando l’opera verso il noir “classico”.
Purtroppo alcuni passaggi di tale svolta non m’hanno convinto particolarmente: mi pare si evidenzino un po’ troppo i limiti che Woody sembra avere nei riguardi di situazioni un po’ diverse da quelle sue canoniche, risultando un po’ frettoloso, a tratti superficiale, nel delineare il mutamento psicologico dei personaggi. Intuizioni sulla trama si colgono qua e là prima che accadano, certi comprimari (i poliziotti) sono un po’ stereotipati e banalotti, certi “colpi di scena” sono ricamati a tavolino e il finale è preparato a puntino (per quanto efficace). Al di là di questi aspetti, però, il film scorre via che è un piacere.

Allen tratteggia splendidamente l’ipocrisia moderna della famiglia alto borghese, ma non si limita a quello: lo scopo principale è di mostrare come possiamo essere piccoli, infidi e vuoti noi esseri umani, e nonostante ciò restare “belle persone”. Quanto fortuna ed egoismo guidino le nostre “supposte” scelte e quanto in realtà sia labile il confine tra ciò che è moralmente qualificante e squalificante.
E se da un lato, quando vediamo Nola (Scarlett Johansson), ci si scioglie il cuore di spettatori innamorati e faremmo tutto per lei, dall’altro realizziamo come anche una conquista amorosa così sublime possa trasformarci, inducendo una tale sopraffazione d’emozioni, che non può che mettere in discussione la nostra personalità.

La tesi è quindi chiara: quanto siamo disposti a metter in gioco di noi stessi nella vita? Quanto l’amore e la passione influiscono sulle nostre scelte? Allen, nel suo rigoroso romanticismo, da una risposta molto poco romantica.

scheda film su IMDb

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A colloquio con un viaggiatore… Etiopia

Conosco Guido Rossi da sempre e, prima di lui la sua famiglia, ma era una conoscenza superficiale, che nasceva dalla contiguità e non dalla frequentazione, per cui sapevo che studi aveva fatto, conoscevo la sua passione per il Milan, mi appariva come una persona cordiale e riservata, ma nulla più. Mi era giunto sì all’orecchio di alcuni suoi viaggi in altri continenti, ma pensavo nascessero, come per la maggioranza, da un fatto di moda, dal gusto per l’esotico, o concretamente dal fatto che andava in ferie in periodi in cui queste mete diventano particolarmente appetibili; poi la svolta: alla ricerca di materiale per il giornale, su indicazione di un’amica comune, ho fatto con lui una lunga chiacchierata sul suo ultimo viaggio in Etiopia, ed allora mi sono trovata davanti ad un viaggiatore autentico, con i suoi appunti di viaggio, attento a ciò che aveva visto, desideroso di capire più che di giudicare, pronto a cogliere l’autenticità dell’esperienza fatta. Innanzitutto mi ha incuriosito la meta prescelta, l’Etiopia e alla mia domanda egli mi ha risposto che la scelta era stata determinata dal fatto che a lui interessa il passato più che il presente ed in particolare tutto ciò che riguarda l’uomo ed il suo rapporto con l’ambiente, i suoi costumi, i suoi modi di vivere.

Avevo letto -racconta Guido- di come nell’Etiopia meridionale, vivessero delle etnie che avevano mantenuto le loro peculiarità, per dire così primitive, che non si erano assimilate alla maggioranza della popolazione etiope neanche nella lingua; inoltre volevo vedere la mitica “Lucy”, l’ominide ritrovato nel Gondar ed esposto al museo di Addis Abeba. La mia avventura è partita proprio da questa città, che mi è apparsa come un agglomerato enorme, (è infatti la seconda città africana dopo il Cairo) inquieto, contraddittorio, dove accanto a palazzi di foggia occidentale in cemento, ci sono baracche e baracche in lamiera, dove non c’è traccia di fognature. Tuttavia l’impressione generale che ho avuto è stato quello di una città ordinata e pulita. Impressionante ho trovato poi il mercato, che si estende su una superficie di 3 km quadrati e che mi si è presentato come una bolgia infernale per il frastuono enorme che vi regna, ma che al tempo stesso mi ha affascinato per la molteplicità e varietà dei colori.
Da Addis Abeba, con la guida e due compagni di viaggio, mi sono spostato di circa 6-700 km verso sud, verso il Kenia e il Sudan, in direzione della Riftey Valley, toccando il lago Longano, Abaya, Chamo, utilizzando strade dritte e lunghissime, percorse da tanta gente a piedi, attraverso territori incolti, sostando in campi attrezzati con tende come quello del parco Mago.

La prima etnia che ho incontrato è stata quella Dorze, i cui villaggi sorgono a  circa 2000 m. di altitudine e sono costituiti da capanne altissime (10 m. circa), fatte con foglie di banano, molto resistenti, mobili. I Dorze sono dei bravi tessitori di cotone; tutti, uomini e donne, fumano, servendosi di pipe lunghissime.
Anche qui ho visitato il mercato e ciò che mi ha colpito è stato vedere in vendita, accanto ai cereali tradizionali, granoturco e sorgo, e alle bucce di caffè, taniche di plastica.
Quest’ultime, di provenienza, a detta della guida, cinese, sono  usate dalle donne per attingere l’acqua;  il che mi ha fatto fare alcune considerazioni sulla globalizzazione.

Abbiamo incontrato poi i Conso, che mi sono parsi più “civilizzati” degli altri e che sono stati gli abili artefici del terrazzamento dell’altipiano dove coltivano, ancora oggi, sorgo e granoturco. Interessante mi è parsa la loro organizzazione sociale e la conseguente suddivisione dello spazio all’interno del villaggio; infatti qui esistono i cosiddetti recinti familiari, gruppo di capanne all’interno di un recinto appunto, chiuso da un cancello rudimentale  che accolgono i vari clan. In questi villaggi ci sono capanne con diverse funzioni, quella più grande accoglie le donne dopo che hanno partorito  e qui vengono accudite per circa una settimana.

Spostandoci verso il Kenia, abbiamo incontrato la popolazione Banna, le cui donne si adornano braccia e collo di perline multicolori con un effetto visivo particolarmente piacevole. Una difficoltà nei contatti con queste etnie era rappresentato dalla lingua: ognuna di loro ne aveva una sua e non tutte comprendevano l’amarico.